8 concetti legati alla sostenibilità: dal permafrost all’Overshoot Day

permafrost

In uno dei recenti articoli abbiamo parlato di tutte le parole ed espressioni ricorrenti nel mondo della sostenibilità, così come di qualche curiosità meno conosciuta. La sostenibilità, però, è un argomento così vasto che ho pensato di comporre una seconda parte. Perciò immergiamoci in nuove parole ed espressioni molto importanti per capire le sfide della sostenibilità di oggi.

ACIDIFICAZIONE DEGLI OCEANI

L’acidificazione degli oceani è una delle conseguenze più preoccupanti dell’aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO₂) nell’atmosfera, principalmente dovute all’uso di combustibili fossili.

In natura, gli oceani svolgono un ruolo cruciale nell’assorbire l’anidride carbonica, un po’ come fanno le foreste, contribuendo a rimuoverla dall’atmosfera. Questo processo è benefico, considerando che l’attività umana produce quantità eccessive di CO₂. Tuttavia, l’assorbimento di grandi quantità di anidride carbonica sta alterando la composizione chimica degli oceani, rendendoli sempre più acidi. Secondo un report, “l’acidificazione degli oceani negli ultimi decenni si è verificata 100 volte più velocemente rispetto agli eventi naturali passati negli ultimi 55 milioni di anni”.

Questo cambiamento ha conseguenze dirette e devastanti per la fauna marina. L’acidificazione, infatti, ha effetti corrosivi che danneggiano gli organismi marini. Le conchiglie di molluschi diventano più sottili o si fratturano, la muta di granchi e dei gamberi rallenta, e le barriere coralline si indeboliscono, perdendo la loro capacità di supportare la biodiversità. Specie come ricci, stelle marine e lumache lottano per sopravvivere in un ambiente sempre più ostile.

Secondo Boris Sakschewski, ricercatore sugli impatti climatici, l‘acidificazione degli oceani sta raggiungendo la soglia critica. Lo ha dichiarato in occasione della pubblicazione di un rapporto a settembre 2024, sottolineando la necessità di agire con urgenza per affrontare questo problema.

Anche se riducessimo rapidamente le emissioni, un aumento dell’acidificazione sarebbe inevitabile a causa della CO₂ già emessa e dei tempi di risposta del sistema oceanico.

Gruppi di ricerca stanno studiando la situazione e tracciando possibili soluzioni. Tra le possibili azioni di contrasto del fenomeno, si sta studiando una tecnica chiamata ocean alkalinization (alcalinizzazione dei mari), consistente nella dissoluzione in acqua marina di sostanze alcaline quali l’idrossido di calcio, in modo da “tamponare” l’acidità.

COP

Una COP o Conferenza delle Parti è l’organo supremo di governo di una convenzione internazionale.

Per quanto riguarda la crisi climatica, la Conferenza delle Parti riunisce i paesi mondiali che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici nel 1992. Questa riunione si tiene ogni anno in un Paese diverso. La prima COP si è tenuta a Berlino nel 1995, mentre nel 2024 avrà sede a Baku in Azerbaijan.

Le Conferenze delle Parti (COP) rappresentano un momento cruciale in cui i governi di tutto il mondo si riuniscono per valutare e coordinare gli sforzi globali contro i cambiamenti climatici. Durante queste riunioni, vengono prese decisioni per ridurre le emissioni di gas serra, affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e definire strategie di adattamento. Un tema particolarmente rilevante è quello delle “perdite e danni,” che riguarda il sostegno finanziario ai paesi più colpiti da eventi climatici estremi come inondazioni, siccità e disastri naturali.

Inoltre, le COP sono un’opportunità per discutere di come rendere le economie più sostenibili e rafforzare la resilienza ai cambiamenti climatici, attraverso finanziamenti, tecnologie innovative e il potenziamento delle capacità locali. La finanza climatica gioca un ruolo chiave in questo contesto, così come il trasferimento di tecnologie pulite e l’educazione sui cambiamenti necessari per una transizione ecologica globale.

Oggi le COP sono diventate vertici globali di enorme importanza, con una partecipazione ampia e diversificata. Oltre ai capi di Stato e di governo, vi partecipano migliaia di delegati governativi, rappresentanti della società civile, organizzazioni non governative e media. Leader mondiali, esperti e attivisti del clima condividono le loro esperienze e soluzioni attraverso tavole rotonde, mostre e una vasta gamma di eventi collaterali.

EUTROFIZZAZIONE

L’eutrofizzazione è un processo degenerativo delle acque causato da un eccesso di nutrienti, come azoto e fosforo, che agiscono come fertilizzanti per la crescita delle microalghe. Si parla di eutrofizzazione culturale o antropogenica, in particolare, per definire i processi dovuti all’attività umana. Come scrive l’Arpae (Agenzia Prevenzione Ambiente e Energia dell’Emilia Romagna), questi nutrienti provengono principalmente dagli scarichi del settore agricolo e dagli insediamenti urbani, e finiscono nelle acque dolci e nei mari. Le sostanze che nell’agricoltura intensiva hanno il compito di far crescere la produzione alimentare continuano la loro funzione nelle acque, facendo crescere a dismisura le alghe.

Aumentando, le microalghe ricoprono la superficie dell’acqua. Questo strato impedisce la penetrazione della luce solare e riduce drasticamente la quantità di ossigeno nelle acque sottostanti, portando così alla morte degli ecosistemi marini, in particolare nei fondali. Non solo, l’eutrofizzazione può portare alla fioritura di alghe che producono sostanze tossiche.

L’eutrofizzazione culturale è in forte espansione a livello globale nei laghi, nelle foci dei fiumi e nelle zone costiere. In Italia, colpisce soprattutto il Nord del Mar Adriatico. Altre aree gravemente affette includono il Mare del Nord, la Baia di Tokyo e il Mar Baltico. Questo fenomeno rappresenta una seria minaccia per la salute degli ecosistemi acquatici.

GIUSTIZIA CLIMATICA

Il concetto di giustizia climatica inserisce il fenomeno dei cambiamenti climatici in una cornice politica e sociale, mettendo in luce come le conseguenze di questo fenomeno non colpiscano tutti gli abitanti della Terra allo stesso modo. Esiste infatti una profonda disuguaglianza: i paesi e le comunità più vulnerabili, che hanno contribuito meno alle emissioni globali, spesso subiscono gli impatti più gravi e devastanti.

L’Università di Notre Dame dell’Indiana ha ordinato i paesi del mondo in una classifica sulla base della vulnerabilità al cambiamento climatico. I dieci paesi più esposti e incapaci di reagire con prontezza sono: Ciad, la Repubblica Centrafricana, Eritrea, la Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Guinea-Bissau, Afghanistan, Mali, Sierra Leone e Madagascar. Nove su dieci sono nazioni dell’Africa. Allo stesso tempo, il continente africano contribuisce solo al 3-4% delle emissioni di gas serra. Nella stessa situazione critica si trovano diverse piccole isole dell’Oceania, colpite dall’innalzamento dei mari.

Mentre, se vediamo le emissioni di gas serra nel 2023, alle prime posizioni troviamo: Cina, Stati Uniti, India, Europa, Russia, Brasile, Indonesia, Giappone, Iran, Arabia Saudita. I paesi più inquinanti — Cina, Stati Uniti e India — contribuiscono insieme al 42.6% di tutte le emissioni!

Le diseguaglianze per gli effetti della crisi climatica si riscontrano anche all’interno dello stesso Paese:

Le persone che vivono situazioni di discriminazione sono particolarmente vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici.

Le comunità più povere rischiano di perdere tutto a causa di eventi climatici estremi, senza avere le risorse per riprendersi dopo un disastro. Le persone senza dimora sono esposte a ondate di calore e altri fenomeni legati al cambiamento climatico, con un rischio più elevato di perdere la vita.

Le donne subiscono in modo sproporzionato gli effetti del cambiamento climatico, poiché spesso dispongono di minori risorse economiche e opportunità lavorative. Inoltre, in contesti colpiti da eventi climatici estremi, i casi di violenza domestica aumentano, peggiorando ulteriormente la loro situazione.

Le popolazioni indigene, custodi della biodiversità locale, dipendono strettamente dal loro ambiente naturale per la sopravvivenza. La distruzione di questi ecosistemi non solo minaccia le loro risorse di vita, ma genera anche profondo disagio psicologico, poiché i loro riferimenti culturali e spirituali sono fortemente legati alla natura.

Infine, bambini e giovani, pur non avendo contribuito in modo significativo alla crisi climatica, ne subiranno i peggiori effetti in futuro.

Per raggiungere la giustizia climatica, è essenziale includere queste categorie di persone nel dibattito sul clima e nei processi decisionali. Tutti dovrebbero avere accesso a un’educazione adeguata sull’ambiente e sui cambiamenti climatici, e a spazi sicuri per denunciare le violazioni ambientali. Inoltre, le nazioni e le comunità più vulnerabili necessitano di finanziamenti adeguati per affrontare perdite e danni legati agli impatti climatici. Su questo fronte, è stato raggiunto un importante accordo alla COP27, nel 2022 a Sharm el-Sheikh, con l’istituzione del Loss and Damage Fund, un fondo destinato a sostenere i paesi più colpiti.

OVERSHOOT DAY

Siamo cresciuti con l’idea che le risorse naturali fossero inesauribili, ma la nostra domanda globale ha superato da tempo la capacità rigenerativa della Terra. Per sensibilizzare su questo problema è nato l’Earth Overshoot Day.

L’Earth Overshoot Day è una data simbolica che ci avvisa quando la popolazione umana ha finito le risorse della terra disponibili per quell’anno. Le date di questo evento sono calcolate dal Global Footprint Network, un’organizzazione internazionale di ricerca. Il calcolo si basa sulla divisione tra la biocapacità del pianeta (cioè la quantità di risorse ecologiche che la Terra può rigenerare in un anno) e l’Impronta Ecologica dell’Umanità (la domanda totale di risorse nello stesso periodo), moltiplicando poi per il numero di giorni in un anno.

La prima campagna dell’Earth Overshoot Day è stata lanciata nel 2006, quando la data della fine delle risorse cadeva il 24 agosto. Ma guardando ai calcoli retrospettivi, nel 1971 l’Overshoot Day sarebbe caduto il 25 dicembre. Questo significa che, anno dopo anno, la data si è spostata sempre più indietro, segno che stiamo consumando le risorse del pianeta a un ritmo molto più veloce rispetto alla loro capacità di rigenerarsi. Per essere in equilibrio, dovremmo raggiungere l’Overshoot Day il 31 dicembre. Se lo superiamo prima, entriamo in debito ecologico per l’anno successivo.

Nel 2024, l’Overshoot Day globale è caduto il 1° agosto, mentre in Italia abbiamo esaurito le risorse il 19 maggio. Queste date vengono diffuse per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’urgenza di affrontare lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e promuovere una maggiore consapevolezza ecologica.

PERMAFROST

Il permafrost è uno strato di terreno che rimane permanentemente ghiacciato, situato sulla superficie terrestre o appena sotto di essa. Questo tipo di terreno si trova principalmente nelle regioni fredde come la Siberia, l’estremo Nord Europa e il nord del continente americano. È costituito da una miscela di sabbia, rocce e terra, legati insieme dal ghiaccio. Per essere classificato come permafrost, il terreno deve mantenere una temperatura pari o inferiore a zero gradi Celsius per almeno due anni consecutivi.

Perché il permafrost è rilevante quando si parla di sostenibilità? Perché al suo interno conserva grandi quantità di carbonio organico, derivato da piante morte che non si sono decomposte a causa delle basse temperature. Con il riscaldamento globale, il permafrost si sta sciogliendo, permettendo ai microbi di iniziare a decomporre il materiale organico che era rimasto congelato. Questo processo rilascia nell’atmosfera anidride carbonica (CO₂) e metano, contribuendo a intensificare l’effetto serra e aggravando ulteriormente il cambiamento climatico.

Il ricercatore Örjan Gustafsson sostiene che, anche se il riscaldamento globale rimanesse entro 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale, entro la fine di questo secolo tra un terzo e la metà del permafrost svanirà.

SISTEMA DI DEPOSITO CAUZIONALE (DRS)

Il Sistema di Deposito Cauzionale, o Deposit Return System (DRS), è un meccanismo utilizzato per la raccolta di imballaggi monouso per bevande, come bottiglie di plastica e lattine in alluminio.

Il DRS è adottato in molti stati dell’Unione Europea con l’obiettivo di ridurre la dispersione di questi imballaggi nell’ambiente e di scoraggiare lo smaltimento errato dei materiali riciclabili nella raccolta indifferenziata.

Come funziona?
Quando un consumatore acquista una bevanda, paga anche una piccola cauzione, indicata al momento della vendita e che verrà rimborsata completamente una volta restituito l’imballaggio.

Dopo aver consumato la bevanda, il consumatore può riportare la bottiglia o la lattina presso un rivenditore, come il supermercato. Qui restituisce l’imballaggio inserendolo in un’apposita macchina (chiamata Reverse Vending Machine o RVM) oppure direttamente alla cassa.

L’amministratore del sistema si occupa del recupero degli imballaggi vuoti dai punti di raccolta. Successivamente, i materiali, una volta compattati, vengono venduti agli impianti di riciclaggio per essere trasformati in nuovi imballaggi per bevande.

Il sistema del deposito cauzionale funziona grazie a un potente principio psicologico. Non restituire l’imballaggio significa perdere la cauzione pagata, e come dimostrato dagli studi di Daniel Kahneman, gli esseri umani sono particolarmente avversi alle perdite, anche quando si tratta di piccole somme. La cauzione incoraggia le persone a riportare indietro bottiglie e lattine, riducendo notevolmente il numero di imballaggi abbandonati per strada o in spiaggia. Nel caso in cui una bottiglia venga lasciata a terra, qualcun altro potrebbe raccoglierla per riscuotere la cauzione al posto del compratore. In questo modo, la plastica acquisisce un valore tangibile per chiunque.

Il DRS è ormai diffuso in circa metà dell’Europa. I paesi scandinavi sono stati i pionieri, con la Svezia che ha introdotto il sistema già nel 1984. Più recentemente, Slovacchia, Lettonia e Malta lo hanno implementato nel 2022, e altre nazioni come Romania, Irlanda e Ungheria hanno seguito l’esempio poco dopo.

In Italia, però, il sistema non è ancora stato adottato. L’associazione Comuni Virtuosi ha lanciato la campagna A buon rendere, volta a sensibilizzare i cittadini sui vantaggi del DRS e a promuoverne l’implementazione anche nel Belpaese.

ZERO WASTE LIFESTYLE

Lo stile di vita Zero Waste nasce come risposta all’abbondanza di prodotti usa e getta presente nella nostra società: tazzine di caffè, posate, piatti, tovagliolini, sacchetti di plastica, cannucce e imballaggi vari. L’obiettivo di una persona che aderisce a questo stile di vita è produrre meno spazzatura possibile nella propria casa e a livello individuale.

Lo Zero Waste inizia a guadagnare popolarità online a partire dal 2010, attraverso molti blog e canali YouTube, soprattutto di donne, tanto da essere considerato un movimento.

Bea Johnson, una donna franco-americana residente in California, viene ampiamente riconosciuta come la madre del movimento Zero Waste. Sul suo blog, Zero Waste Home, documenta i progressi della sua famiglia (composta da lei, il marito e due figli) nella riduzione dei rifiuti prodotti.

Un’altra figura di rilievo è Lauren Singer, anche lei americana. All’epoca era una giovane blogger e aveva creato il sito Trash is for Tossers. Durante un TED Talk, Lauren Singer ha mostrato i rifiuti non riciclabili che aveva prodotto in tre anni. Stavano dentro un solo vasetto di vetro.

Da quel momento, il movimento Zero Waste si è ampliato, con una crescente comunità di content creator che si impegnavano a ridurre il proprio impatto ambientale e condividevano consigli pratici con i propri follower. In Europa, specialmente nel Nord, sono emersi diversi canali YouTube sul tema, come per esempio Gittemary Johansen o Sustainably Vegan.

I principi cardine del movimento sono riassunti in cinque regole:

  1. Rifiuta: evita ciò che non serve, come cannucce, gadget inutili e sacchetti offerti in negozio.
  2. Riduci: compra meno oggetti, ma di qualità superiore.
  3. Riutilizza: privilegia contenitori e sacchetti riutilizzabili.
  4. Ricicla: smaltisci correttamente i rifiuti differenziabili.
  5. Trasforma i rifiuti organici in compost.

Uno degli impatti più significativi del movimento Zero Waste è la promozione dell’acquisto di prodotti sfusi: pasta, frutta, legumi, cereali e detergenti sono acquistati portando i propri contenitori nei negozi che vendono sfuso, eliminando così imballaggi inutili.

Il movimento Zero Waste ha agito come un faro sulla consapevolezza dei consumatori, ma è stato anche criticato. Questo stile di vita si scontra con una società strutturata su un modello consumistico, in cui è difficile trovare negozi sfusi e dove la maggior parte dei prodotti al supermercato è avvolta nella plastica. Adottare uno stile di vita Zero Waste richiede un impegno notevole in termini di tempo, attenzione e denaro, rendendolo, secondo alcuni, elitario e poco accessibile.

Dopo gli anni Dieci, però, molti content creator hanno rivisto la loro narrativa, distanziandosi dalla ricerca di un ideale Zero Waste puro. Hanno iniziato a denunciare la responsabilità delle multinazionali e a sensibilizzare sulla sostenibilità dei materiali.

Il perfezionismo associato al movimento Zero Waste, infatti, ha finito per creare stress e ansia per chi ne era il portavoce. I content creator si trovavano costretti a dimostrarsi impeccabili in una società dove produrre così poca spazzatura da farla entrare in un vasetto di vetro è quasi impossibile. Il movimento si è focalizzato eccessivamente sulla responsabilità del singolo, generando sensi di colpa.

Oggi, il meglio che lo stile di vita Zero Waste ci ha insegnato è ancora valido, ma viene integrato con una consapevolezza più ampia: il cambiamento deve avvenire anche a livello strutturale, attraverso politiche e scelte industriali più sostenibili.

BIBLIOGRAFIA

Greta Thunberg (a cura di), The Climate Book, Mondadori, 2022

S. Moraca e E. Palazzi, Siamo tutti Greta. Le voci inascoltate del cambiamento climatico, edizioni Dedalo

Pubblicato da Marianne Romani

Genovese, ma dal cuore metà danese e metà italiano. Fin da bambina, le narrazioni sono state la mia passione. Nel 2021 ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie, “Sul ciglio di un desiderio”. Oltre alla scrittura, mi dedico alla sostenibilità, impegnandomi a diffondere una cultura di gentilezza e rispetto verso la natura.