La città sostenibile che vorrei

La visione del futuro è una spinta che ci aiuta a creare un mondo migliore. Possiamo immaginare chi vogliamo essere, ma, soprattutto, dove vogliamo essere, come possono essere trasformati in meglio i contesti della nostra vita. Ebbene, ammetto uno dei miei sogni: vedere la mia città fiorire e diventare più sostenibile, vivibile e accessibile.

Purtroppo, ci hanno insegnato che il cittadino deve usufruire di quello che gli viene dato senza avere voce in capitolo, quando in realtà dovrebbe averne eccome. Percorriamo strade e usufruiamo di servizi ogni giorno, pertanto credo che dovremmo esprimerci sui nostri bisogni relativamente alla città. In seguito, ci penseranno politici, architetti, ingegneri a realizzarlo nel modo più fattibile. Il cambiamento può succedere anche solo votando dei rappresentanti politici che abbiano a cuore il nostro benessere quotidiano.

Mi riferisco al nostro benessere perché la struttura delle città ha un impatto sulla comodità della nostra vita e sulle disuguaglianze tra i cittadini. Città inquinate uccidono. Città rumorose provocano stress.

Io vivo a Genova. È una bella città, c’è il mare. Il mare ci aiuta ad evitare l’afa che stritola la Pianura Padana. È una città che si sviluppa in lungo e dal mare sale fino ai monti.

Due sono le cose che mi mancano a Genova: i parchi e gli spazi per i giovani. Sento la mancanza di spazi di incontro, spazi silenziosi in cui fermarsi e assaporare la bellezza della città, spazi dove rilassarsi, sdraiarsi e sentire l’aria pulita. Le riflessioni che farò d’ora in poi partono dalla mia esperienza personale, ma credo che si possano applicare a molte città italiane. Le soluzioni vanno poi formulate per adattarsi a caso per caso. In generale, credo che sia giunto il momento di superare il modello di città che gira totalmente intorno all’automobile.

Vado spesso in Danimarca, avendo origini italo-danesi. Ogni volta che torno a Copenaghen, rimango incantata dalla bellezza di questa città piena di parchi e di costa, tra tradizione e incredibile modernità nell’architettura. Copenaghen è una città frenetica e turistica, eppure l’atmosfera è gentile e l’aria è pulita.

Non mi stupisce che la Danimarca abbia partorito un architetto come Jan Gehl, nato proprio a Copenaghen nel 1936. Gehl ha messo il benessere della persona al centro della sua carriera, lavorando a spazi urbani in tutto il mondo. Importantissimo fu l’incontro con la moglie Ingrid, psicologa. Fu lei a stimolarlo a focalizzarsi sui bisogni degli esseri umani. Gehl capì che le persone si fermano di più se stanno in luoghi che le mettono a loro agio, in cui stanno bene. Nella sua visione, le città sono ricche di dettagli che le persone trovano piacevoli e interessanti da guardare.

Se si è gentili con il pedone e il ciclista, si prendono cinque piccioni con una fava: si ottiene una città vivace, si ottiene una città attraente, si ottiene una città sicura, si ottiene una città sostenibile e si ottiene una città che fa bene alla salute.

Jan Gehl

Il ruolo dell’architetto, potremmo dire in poche parole, è quello di rendere i luoghi accoglienti. Ma se la voce dei cittadini non conta, chi decide se quei luoghi sono accoglienti o no? Questa esperienza non fa parte di un vissuto personale e intimo?

Le città sostenibili sono un tema dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite; si tratta dell’undicesimo dei diciassette obiettivi stilati a livello internazionale. Ogni Paese membro dell’ONU dovrebbe tendere alle seguenti indicazioni: garantire a tutti l’accesso ad alloggi adeguati, potenziare i trasporti pubblici, salvaguardare il patrimonio culturale e naturale, migliorare la qualità dell’aria, fornire la fruizione inclusiva di spazi verdi, attuare politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

UNA CITTÀ ACCESSIBILE E INCLUSIVA

Secondo Elena Granata, docente di Urbanistica del Politecnico di Milano, il fatto che le città siano sempre state costruite da architetti e ingegneri uomini ha influenzato la pianificazione urbana tenendo conto dei soli bisogni dell’uomo lavoratore. Questo è accaduto e accade per la mancanza di esperienza degli esperti su determinati temi. Nella città su misura maschile, la città si fonda su principi razionali, con palazzoni e grattacieli, strade dritte per gli spostamenti casa-lavoro. La città è costruita a favore dell’auto. Sono pochi i luoghi in cui sostare. Il risultato, direi io, è che la città lascia poco spazio al cuore (dimensione generalmente relegata al “femminile”), risultando poco accogliente.

Elena Granata spera che altre visioni possano creare una composizione più variopinta della progettazione della città. Parliamo di sensibilità inedite e, per questo motivo, la voce delle donne diventa essenziale, progettiste che sono spesso mamme e caregiver.

Quando iniziamo a interrogarci sulle esigenze di tutte le fasce della popolazione, la città si apre a una miriade di esperienze possibili. Diventa una città inclusiva.

La docente fa degli esempi. Pensiamo a quanto potrebbero essere formativi, oltre che utili alla socializzazione, tanti spazi di gioco per i bambini sparsi per la città e comodi da raggiungere. O creare dei marciapiedi grandi per facilitare il passaggio agli anziani e alle persone disabili, che spesso sono pedoni.

Ora invece torniamo alle nostre città chiassose con allarmi, sirene, motori, martelli pneumatici, un sottofondo continuo. Ci sono persone dello spettro autistico che convivono difficilmente con questo rumore, trovandolo molto ingombrante, tanto a volte da impedirgli di seguire una conversazione e di girare in tranquillità. Diminuire il rumore potrebbe essere di giovamento non solo per una persona con questo tipo di funzionamento mentale, ma anche per una persona neurotipica (ovvero non autistica). Infatti, come riportato dall’European Environment Agency, abitare in zone rumorose aumenta la mortalità e i problemi al cuore. In una sola parola: stress.

Per rendere la città inclusiva, occorre porsi delle domande sui bisogni di chi la abita per quanto riguarda sia la popolazione che vive in centro sia quella delle periferie. Elena Granata non ha dubbi in merito: la progettazione degli spazi in città dovrebbe essere partecipata.

In Italia, anche le spiagge sono al centro di un dibattito proprio in merito all’inclusività.

Necessitiamo di spiagge libere per gli abitanti. Ad esempio, in Liguria le spiagge sono occupate per il 69% da stabilimenti balneari, mentre quello che resta è spesso sovraffollato e poco invitante. Ma la cosa peggiore è che questo dato è in contrasto con la legge, che dovrebbe in teoria obbligare ad avere un 40% di spiagge libere

Le spiagge private sono a Laigueglia il 92,5%, a Diano Marina il 92,2%, ad Alassio l’88,2%, a Santa Margherita Ligure l’87,4%, e non vado avanti perché il quadro si mantiene sempre alto. Questo è un esempio, ma è un discorso di riflessione che sfiora tutta la penisola italiana.

Tanti cittadini hanno scarse possibilità di scegliere una spiaggia libera, perché non si possono permettere di spendere quei soldi. Se poi qualcuno vuole concedersi maggiore comfort e lusso, potrebbe di optare per uno stabilimento balneare.

UNA CITTÀ VERDE E PIACEVOLE

Città e campagna sembrano dei concetti opposti. Naturale-artificiale è una dicotomia ben nota. La natura fatica a entrare nelle nostre città, ma noi abbiamo il potere di far congiungere finalmente queste due dimensioni.

Il professor Cecil Konijnendijk del Nature-Based Solution Institute propone una regola per creare la città green ideale, con tre numeri: 3-30-300.

  • Ogni abitante vede da casa sua almeno 3 alberi.
  • Ogni quartiere ha il 30% di copertura con spazi verdi.
  • Il parco più vicino a casa non dista oltre 300 metri.

La presenza della natura in città ha molti vantaggi. In primo luogo, migliora il nostro benessere. Siamo animali e sentiamo ancora il richiamo del nostro ambiente primordiale. Numerosi studi scientifici dimostrano che il verde rilassa, migliora il sistema immunitario e rigenera le facoltà mentali.

Creiamo dei bei parchi alla portata di tutti e ci andranno i bambini, invece di starsene a casa di fronte agli schermi, così rinforzeranno il loro corpo con la motricità. Allo stesso modo, gli adulti e i ragazzi potranno usarli per correre o allenarsi. Insomma, il verde agevola abitudini salutari e può essere sfondo di incontri sociali.

Gli alberi rinfrescano. Creano ombra. Possono abbassare la temperatura sottostante dai 3 ai 5 gradi rispetto alle altre aree. Inoltre, creano un’ombra più fresca di una tettoia artificiale perché sono vivi e mettono in atto l’evapotraspirazione: l’acqua del suolo viene pompata dall’albero fino alle foglie e poi passa lentamente nell’atmosfera, rinfrescando l’aria circostante.

Spesso capita di vedere nelle nostre città italiane piazze grandi in pietra rovente con le panchine al sole. E non c’è nessuno d’estate, perché è un ambiente ostile, troppo caldo.

Un modo per creare un’area verde accogliente è renderla ben separata e protetta dalla strada. Si possono progettare delle barriere verdi, ovvero fatte di piante, che smorzino l’inquinamento acustico proveniente da motori, clacson, sirene. Oltre ad attutire, queste siepi o cespugli aiutano a non vedere la fonte del rumore, elemento che risulta utile a diminuire il fastidio.

Se non è possibile creare nuovi parchi, si possono trovare modi creativi di portare le piante in città, come sfruttare la vegetazione verticale che si arrampica sulle pareti esterne dei palazzi. Personalmente, trovo che la vegetazione che corre sui muri sia anche molto bella e romantica.

Basta poco per fare spazio alla natura, ricordando che non si tratta di una decorazione, ma un insieme di esseri viventi e, in quanto tale, richiede la giusta cura.

Far spazio alla natura significa anche curare al meglio l’illuminazione pubblica.

Esiste un bellissimo libro sui rischi della luce artificiale, e si chiama “Elogio del buio”, scritto dal biologo svedese Johan Eklöf.

Eklöf sostiene che l’essere umano, da quando ha inventato la lampadina, ha cancellato la notte dalla faccia della Terra. La luce proveniente dai lampioni, dalle vetrine, dai fari sparati nel cielo sconvolge i ritmi biologici degli animali, come gli insetti e gli uccelli, mettendo a dura prova la loro sopravvivenza. In natura, ogni processo è sincronizzato. La luce, la sua assenza e le sue sfumature sono fattori importanti per gli animali per capire come muoversi nel mondo, ad esempio quando cacciare. Tuttavia, la luce artificiale li confonde e li disorienta. Alcune specie non riescono più a vedere le stelle per orientarsi. Questo vuol dire meno caccia, meno cibo e anche meno incontri per la riproduzione, con la conseguente riduzione della specie.

Mettendo da parte gli animali non umani, anche noi siamo a rischio della salute per la luce eccessiva di notte. La luce artificiale incide sulla qualità del sonno, con il rischio di stress cronico, depressione e obesità. L’illuminazione pubblica è una componente urbana che richiede cura su come è direzionata, ad esempio la luce lampioni dovrebbe puntare solo verso il basso e non disperdersi verso l’alto, anche perché ciò limiterebbe gli sprechi energetici. Conta anche l’intensità e la sfumatura di colore, infatti la luce ambrata cattura meno insetti di quella bianca/blu/violetta e sarebbe meglio comunque non abusare delle luci artificiali esterne. In Francia si sono già mossi e nel 2019 hanno approvato una legge sulla quantità di luce che si può emettere nell’atmosfera.

UNA CITTÀ LENTA E SICURA

La nostra vita è così condizionata dall’automobile che difficilmente riusciamo a immaginare una vita diversa, ma le megalopoli senza auto esistono già!

Un esempio è Tokyo. L’88% degli spostamenti degli abitanti avviene a piedi, in bici e soprattutto con i mezzi pubblici. La maggior parte delle strade non ha parcheggi lungo i lati.

L’auto non è il male. Credo che l’auto porti un miglioramento nelle nostre vite moderne. Una madre che deve portare i suoi due figli in due scuole diverse e poi li accompagna ad allenarsi in qualche centro sportivo risparmia molta fatica. Avere un’auto permette di uscire la sera e di sentirsi al sicuro. Permette di andare a lavorare dall’altra parte della città senza troppo stress. Non si fatica d’estate quando si deve uscire ma fa troppo caldo. Si possono fare gite fuori porta. Insomma, l’automobile rende autonomi, semplifica la vita, permette di fare esperienze positive e agevola la propria carriera professionale.

Ma l’auto richiede anche una presa di responsabilità. Esiste una discrepanza nel vivere la città da pedone o da automobilista. È una percezione diversa dovuta alla velocità con cui si ha esperienza dell’ambiente circostante. Nelle città con il dominio dell’auto il pedone si sente fuori posto, si sente un intralcio. Attraversa le strisce pedonali camminando in fretta, con il muso dell’auto a pochi centimetri che spinge per poter passare e un guidatore che sbuffa perché deve correre chissà dove. Spesso la precedenza del pedone non è rispettata. Ci si sente vulnerabili di fronte a moto che sfrecciano all’improvviso. Questa è la cultura della velocità e della produttività, ma oggi sta nascendo una via più dolce.

C’è chi ha voluto cambiare la cultura dominante sulle strade. A Bologna, dal 1° luglio 2023 il limite massimo di velocità in tutte le strade urbane è passato da 50 a 30 chilometri orari, ad eccezione delle principali vie di scorrimento dove invece è rimasto a 50. È il progetto Bologna Città 30, una rivoluzione per la città e per l’Italia. Il motivo dietro a questa scelta politica è la riduzione degli incidenti stradali.

Secondo l’ISTAT, la maggior parte delle vittime in città sono pedoni e ciclisti. Ma, abbassando il limite di velocità da 50 chilometri orari a 30, la probabilità di incidente mortale per queste fasce di popolazione si riduce di otto volte, l’impatto è meno devastante. Inoltre, gli automobilisti hanno una visione più chiara di quello che succede intorno a loro e possono frenare in tempo.

Una delle critiche fatte al modello città 30 è: andando piano si inquina di più? In realtà non è così, in quanto ciò che fa consumare carburante sono l’accelerazione e la decelerazione imposte continuamente dalla strada e dai semafori. Andando a 30 all’ora in città, grazie a una velocità più costante, si inquina di meno. Insomma, è una strategia vincente su più fronti, che incentiva le persone a uscire in strada, usare la bici perché è più sicuro e quindi può ridurre l’inquinamento grazie al cambiamento nello stile di vita delle persone. Ovviamente tenendo conto che la fase iniziale richiede un “adattamento” da parte della popolazione, un cambio di abitudini e di prospettiva.

Finora i risultati di Bologna sono incoraggianti.

Nel periodo di riferimento la Polizia locale di Bologna ha rilevato 157 incidenti in meno: 1.299 rispetto ai 1.456 di media del 2022-2023, una riduzione dell’11 per cento. Le persone morte a causa di incidenti stradali in città sono state 5 rispetto alla media di 7,5 del periodo precedente, con una riduzione in termini percentuali del 33 per cento circa.

Per quanto riguarda gli incidenti con persone ferite, il Comune ha rilevato una riduzione dell’11,7 per cento, mentre gli incidenti senza feriti si sono ridotti del 14 per cento circa. Le persone in prognosi riservata a causa di un incidente stradale sono invece aumentate di quasi il 67 per cento, ma il dato oscilla molto di anno in anno e potrebbe anche avere influito il fatto che alcuni incidenti gravi non sono più tali da causare decessi, ma ferimenti importanti.

Gli incidenti che hanno riguardato persone a piedi si sono ridotti dell’8 per cento, mentre quelli che hanno coinvolto ciclisti sono aumentati del 14 per cento circa. Secondo il Comune, è probabile che l’aumento sia dovuto alla maggiore quantità di persone che dopo l’introduzione della “città 30” hanno scelto di muoversi con maggior frequenza in bicicletta. È stato infatti riscontrato un aumento del 12 per cento di ciclisti e del 92 per cento dell’utilizzo dei sistemi di bike sharing.

Il Post

Altre città 30 nel mondo sono Nantes e Lione in Francia, Zurigo in Svizzera, Helsinki in Finlandia, Toronto in Canada, Madrid in Spagna, Londra ed Edimburgo in Gran Bretagna. Se si vive in una determinata zona, è difficile pensare che potrà cambiare, eppure ci sono città che sono mutate completamente, diventando da auto-oriented a pedonali in pochi decenni, e nessuna tornerebbe indietro.

Credo che l’abuso dell’auto sia il problema. Pensate ad avere una rete di linee della metropolitana estesa, poter andare ovunque con mezzi pubblici elettrici o il tram. Godere di tante aree pedonali dove camminare tranquilli. Stare in città senza sentire la puzza dell’inquinamento e il rombo della motocicletta. Poter prendere la propria bicicletta insieme ai figli e sfruttare le piste ciclabili. Allo stesso tempo, la via più green deve essere presentata come l’alternativa più comoda per gli abitanti (ad esempio, il beneficio di evitare il traffico congestionato) o economica. Ci deve essere un qualche tipo di vantaggio per i cittadini, immediato e concreto nella vita quotidiana.

UNA CITTÀ RESILIENTE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI

Ricordo ancora il giorno dell’alluvione di Genova. Era il 4 novembre 2011. Da allora, ogni anno il periodo a cavallo tra ottobre e novembre genera timore. L’Italia è un paese molto vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici. Legambiente calcola che nel 2023 in Italia ci siano stati 378 eventi meteorologici estremi, +22% rispetto al 2022

Dopo anni di supremazia del cemento, i cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova le nostre certezze. E in particolare le calamità naturali, sempre più intense e frequenti in tantissime aree del mondo: piogge abbondanti, maremoti, uragani, alluvioni, frane. La città deve cambiare pelle e diventare più resiliente rispetto a questi eventi.

Uno dei modi per affrontare l’acqua sempre più abbondante è la depavimentazione. Si cerca di rendere le città più spugnose. In pratica, si libera la terra dal cemento. Terra e vegetazione hanno il compito di trattenere l’acqua, riducendo la sua portata e la carica distruttiva in caso di alluvione. Anche gli alberi possono aiutare a frenare la carica delle piogge abbondanti grazie alle foglie, anche se occorre prendersene cura e renderli forti abbastanza da non cadere alla prima tempesta, come sottolinea Elena Granata.

Una città del futuro, secondo me, è una città che accoglie al suo interno modi puliti di generare energia. E per quanto riguarda la cattura dell’anidride carbonica in città, una dei colpevoli dei cambiamenti climatici, si stanno sviluppando tecnologie interessanti. Come, ad esempio, vernici in grado di assorbirla come un albero. Con questa tipologia di vernice vengono realizzati murales, come è già accaduto a Milano e Roma. Credo che un’invenzione così interessante, che unisce arte e tutela dell’ambiente, a mio parere, dovrebbe diffondersi ovunque!

Creare una città sostenibile significa pensare in modo creativo per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici. Nessuna città è uguale all’altra. Ciascuna ha una storia, definita dai suoi luoghi e dai suoi abitanti. Le città italiane, poi, sono il risultato stratificato di tantissimi secoli di edificazione e di cultura. Pertanto, non credo che tutte le soluzioni proposte siano realizzabili allo stesso modo, ma se si potesse migliorare la vivibilità usandone anche un paio, mettendo le persone e l’ambiente al centro, facendo un vero e proprio shift di visione, allora si farebbe un salto di qualità generale.

Una bella città è una città in cui la gente vuole restare, sta bene e decide di crearci una famiglia e una comunità. Questa è una ricchezza che giova al paese intero. Il benessere, quello autentico, è una strada che prima percorreremo, meglio sarà per il nostro futuro. E possiamo farlo insieme.

Bibliografia:

Elena Granata, Il senso della città per le donne. Curiosità, ingegno, apertura, Einaudi, 2023

Johan Eklöf, Elogio del buio. Alla riscoperta della bellezza della notte in difesa dei ritmi naturali di tutti gli esseri viventi, Corbaccio, 2023

Valentina Ivancich, Noi e l’albero, Corbaccio, 2018

Sitografia:

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Pubblicato da Marianne Romani

Genovese, ma dal cuore metà danese e metà italiano. Fin da bambina, le narrazioni sono state la mia passione. Nel 2021 ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie, “Sul ciglio di un desiderio”. Oltre alla scrittura, mi dedico alla sostenibilità, impegnandomi a diffondere una cultura di gentilezza e rispetto verso la natura.