Quando si parla della natura, si incontrano diverse visioni e narrazioni.
Ne cito due:
- La natura è la nostra Madre e sarà la nostra salvatrice. Naturale è bello, artificiale è brutto. Dobbiamo tornare a uno stile di vita selvaggio e decrescere.
- La natura è pericolosa. Va domata, perché, se non la controllassimo, ci schiaccerebbe. Possiamo goderne usandola come sfondo delizioso delle nostre attività e, in questo caso, intendiamo la natura innocua ed estetica dei giardini.
Sono due punti di vista opposti. Dove sta la verità?
Essendo io una grande appassionata della natura, per me essa è sinonimo di vita, creatività, ispirazione, gioia e benessere; so che l’essere umano ne è dipendente, nel bene e nel male.
Entrambe le visioni che ho descritto, secondo me, hanno dei punti di forza e di debolezza. D’altronde, la realtà è ricca di contraddizioni e sfumature. Inoltre, esse aprono riflessioni interessanti sul modo in cui ci relazioniamo con l’ambiente.
Cosa è naturale?
Oggi è difficile stabilire cosa sia naturale e cosa no. Da quando gli esseri umani hanno scoperto l’agricoltura e sono diventati stanziali, essi hanno trasformato i territori in cui vivevano. Hanno tagliato alberi, piantato, allevato animali. Cosa c’è di naturale nelle specie che mangiamo? Quante foreste antiche, ovvero non toccate e manipolate dall’uomo ci sono? Ormai abbiamo posato la nostra impronta su tutto il mondo asservendolo alla nostra economia.
Con la rivoluzione industriale, ci siamo allontanati sempre di più dai processi naturali, tanto da avere un’idea astratta del verde. Più della metà della popolazione mondiale vive in città. Quando vogliamo godere della natura, siamo fortunati se possiamo andare in un parco, dove siamo noi umani a decidere cosa ci cresce dentro.
Credo che l’idea di una natura completamente incontaminata, ai nostri tempi, sia ormai un’illusione. Inoltre, se fosse possibile tornare a quella condizione, sarebbe uno stato che gli esseri umani sarebbero disposti a vivere? Quanti di noi, infatti, dovrebbero pagare il prezzo di una morte dolorosa per freddo, malattie, mancanza di risorse? Siamo davvero consapevoli di cosa comporta? Io sono molto sensibile ai temi ambientali, ma non vorrei tornare a uno stile di vita completamente selvaggio. Allo stesso tempo, non credo in una crescita economica infinita, in quanto le risorse naturali sono limitate. Non potrei rinunciare alle comodità che scaturiscono dalla dominazione umana sulla Terra, ma mi rendo conto che questo comporta un dilemma morale. Dove sta la linea che delimita uno stato in cui danneggiamo il meno possibile l’ambiente ma possiamo comunque godere di un benessere che noi come specie non potremmo avere in natura?
Ci piace la natura perché ci rilassa, ma non dobbiamo sottovalutarla. Non si può fare un’escursione da impreparati. Se ti perdi in montagna, se cadi e ti rompi una gamba e sei solo, devi sperare di avere modo di chiamare i soccorsi.
Essendo noi parte una specie urbanizzata, la natura selvaggia e distruttrice è rimossa dalle nostre menti. E quando bussa alla nostra porta, fa paura. Ma la colpa è sua?
L’incontrollabile prende il controllo
Lo abbiamo imparato dalle fiabe: Cappuccetto Rosso va nel bosco e viene mangiata dal lupo insieme alla nonna. A parte le metafore sociali, è vero che nel bosco incontaminato vivono animali che potrebbero costituire un pericolo potenziale per l’essere umano. Disturbare un orso, un lupo, un cinghiale coi piccoli è decisamente sconsigliato.
Un’orsa uccide un runner in Trentino e si scatenano dibattiti inferociti perché si tocca un nervo scoperto. Il dilemma etico si palesa. L’essere umano occupa spazi, costruisce città. E gli animali selvatici cosa devono fare? Non possono andare a cercare cibo nelle città e non possono neanche stare nel bosco in pace, perché l’essere umano vuole passare delle belle vacanze camminando in montagna. Gli animali selvatici devono stare relegati e nascosti agli occhi umani il più possibile.
L’incontro con il selvaggio ricorda all’uomo che è una preda priva di artigli e dotata di pelle morbida e nuda. Rimanda a quella paura che abbiamo dai tempi in cui eravamo raccoglitori braccati in quella natura selvaggia. L’animale selvatico, fisicamente forte e naturalmente armato, rappresenta una bestialità che non si può controllare. La “bestia” non è il cane fedele che abbiamo addomesticato ai tempi del Neolitico, non è il maiale che abbiamo reso passivo e pauroso con esperimenti genetici. Purtroppo, per noi gli animali o sono animali domestici o sono merce da spremere in un allevamento fino alla morte. Il resto è un nemico da eliminare perché ci ricorda quanto sia labile il nostro controllo sulla natura.
La natura uccide.
Non ne aveva una buona impressione Giacomo Leopardi. Fu lui ad esprimere letterariamente il concetto di Natura matrigna. Nella sua opera Dialogo della Natura e di un islandese, la natura è dipinta come indifferente all’uomo e alla sua sofferenza. L’essere umano non può sfuggire alle leggi crudeli della natura: caldo, freddo, alluvioni, terremoti.
Su una cosa mi trovo d’accordo con Leopardi: la natura se ne frega dell’idea del bene o del male che abbiamo inventato in base alla nostra morale. Ma per noi, alluvioni, mareggiate e raffiche di vento possono essere eventi traumatici. Ogni anno, in tutto il mondo, i disastri naturali uccidono migliaia di persone. E la vera tragedia (ed ironia della sorte) è che questi disastri sono destinati ad aumentare proprio per l’ingerenza umana, come conseguenza dei cambiamenti climatici.
L‘essere umano ha paura quando gli viene ricordato che, pur essendo padrone del mondo, è mortale. Può essere ucciso e sopraffatto da quella natura che tenta di dominare, ma che alla fine avrà la meglio, anche se viene distrutta e maltrattata. Quando si parla di danni da cambiamento climatico, chi subirà le peggiori conseguenze saremo noi, la Terra andrà avanti. Anche se prima avremo condannato all’estinzione molte specie…ma comunque si tratta di un’azione di autodistruzione, il che è molto triste.
Non credo che la soluzione sia dire “estinguiamoci pure, tanto facciamo schifo come specie. Staranno tutti meglio senza di noi”.
Vorrei che le generazioni dopo di noi possano vivere al meglio nei limiti imposti dall’ambiente. La fantasia di autodistruzione in seguito a una colpa non è una soluzione, perché tanto ormai su questo pianeta ci siamo nati. Che cosa vogliamo fare di utile in questa vita?
Leopardi aveva ragione. La Natura (che è anche meravigliosa, caro Giacomo) fa il suo corso seguendo meccanismi complessi. Noi abbiamo bisogno delle sue risorse per sopravvivere, non possiamo tirarcene fuori, ma siamo un tassello di un grande disegno. Non siamo diversi dalla formica che muore quando la schiacci inavvertitamente col piede.
Familiarizzare con i disastri naturali
Con il passare degli anni, la natura ci restituirà il conto delle nostre azioni con gli interessi. Lo sta già facendo. Si tratta del conto per aver creduto di poter stare in cima alla piramide, giocando a fare Dio con la salute nostra e delle altre creature. Di fronte al cambiamento climatico:
- Possiamo colpevolizzarci (cosa che va di moda di questi tempi)
- Possiamo detestare la natura e i suoi fenomeni crudeli come Leopardi
Oppure cercare una terza via, cosa che auspico. Prima prendiamo atto che non siamo padroni e che anche noi siamo natura, e prima riusciremo ad agire in maniera costruttiva nei momenti difficili che verranno a causa dei cambiamenti climatici.
Il primo passo è capire che ci troviamo di fronte a un’emergenza. Il clima è malato e i morti dovuti ai fenomeni naturali derivano dal cambiamento climatico. I disastri naturali diventano più frequenti e intensi. Le tragedie non sono fenomeni isolati, non capitano una tantum. Fanno parte dell’esperienza umana e vanno prevenuti.
Seconda cosa, agire. Agire per fermare le emissioni di gas serra che influenzano il clima e, soprattutto, pensare a livello globale una prevenzione delle morti per disastri naturali. Bisogna pensare a delle strategie di adattamento, ovvero costruire delle infrastrutture che possano resistere e tamponare alluvioni, tornado, maremoti e così via.
Terzo, si deve iniziare a parlare seriamente di convivenza con i disastri naturali, anche con il caldo torrido che ci affliggerà ogni estate. L’essere umano ha paura dei fenomeni naturali perché non li inserisce in una cornice di senso condivisa. Nelle società preindustriali esistevano le credenze tradizionali e i rituali. Abbiamo bisogno di riprendere quell’esperienza e creare nuove narrazioni, positive e self-empowering, su questi fenomeni.
Facciamo un esempio recente. Durante il 2020, in piena pandemia da COVID-19, in Giappone divenne molto in voga disegnare un Amabie. L’Amabie è uno yōkai, ovvero una creatura del folkore nipponico, ed è simile a una sirena con tre zampe. Secondo la leggenda, mostrare una sua immagine ha un potere di guarigione. L’Amabie diventa quindi un simbolo di contrasto alla pandemia. Tutti si mettono a disegnare e a condividere il loro Amabie, compresi bravissimi illustratori, e la tendenza si diffonde sui social, valicando i confini dell’arcipelago. Disegnare un Amabie diventa quindi un modo per elaborare la situazione traumatica che sta accadendo, ovvero la pandemia, permette alle persone di donare agli altri. Fornisce una sensazione di controllo nell’evento, di vicinanza e di conforto.
Possiamo imparare dalle cose migliori del passato ed integrarle con quanto abbiamo imparato oggi per avviarci nel futuro.
L‘uomo ha paura dei fenomeni naturali perché non sono controllabili dalla tecnologia. A volte tira fuori l’idea di una tecnologia che ci salverà dai nostri stessi danni (ma che ancora non esiste) e intanto continua a rilasciare gas serra nell’atmosfera come se non dovesse preoccuparsene ora. Tutto ciò è puro autolesionismo.
Chiediamoci quindi:
- Come possiamo convivere con fenomeni naturali disastrosi e frequenti dovuti al cambiamento climatico?
- Potremo guardarli con occhi diversi invece che chiamarli semplicemente “maltempo”?
- Come possiamo costruire un nostro senso a livello psicologico per affrontarli?
Non è necessario arrivare subito alle risposte, ma riflettere su queste cose. Farsi delle domande potrebbe salvarci da reazioni irrazionali e negative.
Per concludere, possiamo imparare a interagire con i fenomeni naturali, conoscerli per temerli un po’ di meno? Ciò presuppone conoscere la natura, avvicinarsi di nuovo a lei, comprendere come è fatta, scoprire le sue dinamiche, rispettarla. Questo porta a capire che anche gli animali selvatici non sono dei nemici, anche se comunque occorre mantenere le distanze e prendere precauzioni, così come vanno prese precauzioni nei confronti di tutti i rischi ambientali. Chissà, forse l’umano si sentirebbe sollevato all’idea di non dover controllare tutto.
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