L’eredità di Martin Luther King: il sogno e la speranza

È stato un pastore in grado di muovere migliaia di cuori. È stato arrestato decine di volte, ha ricevuto innumerevoli minacce di morte ed è morto assassinato, ma ormai aveva fatto la storia. C’è qualcosa di straordinariamente potente nella figura di Martin Luther King Jr., un uomo che ha saputo trasformare l’indignazione in amore e il dolore in speranza, seguito da cittadini, attivisti, collaboratori.

Cambiano le generazioni, ma le debolezze umane sembrano sempre le stesse: le diseguaglianze, i conflitti, le trame del potere, la difficoltà nel credere in un futuro luminoso. Fortunatamente, il passato può essere un maestro. Torniamo indietro a più di sessant’anni fa e ripercorriamo le lotte dei diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti d’America.

Questo articolo esplora il percorso di un uomo che ha fatto della nonviolenza una rivoluzione.

LE RADICI DELLA RIVOLUZIONE

Martin Luther King Jr. nasce il 15 gennaio 1929 ad Atlanta, in Georgia, nel Sud degli Stati Uniti. Il padre è un pastore protestante dai forti principi, la madre una donna amorevole. La sua famiglia abita in un quartiere dal reddito medio ed è ben inserita nella comunità locale.

King si laurea prima in sociologia, poi il padre lo convince a intraprendere il suo stesso percorso e Martin inizia a studiare teologia. Durante gli anni universitari a Boston, King conosce la cantante Coretta Scott e i due si sposano nel 1953. La giovane coppia resta per un breve periodo nel Nord degli Stati Uniti, dove le persone afroamericane godono di maggiori diritti, ma entrambi erano originari del Sud e, alla fine, decidono di tornare lì. Qualcosa li spinge a voler cambiare le cose nella loro terra di nascita. Così King nel 1954 diventa pastore della Dexter Avenue Baptist Church a Montgomery, Alabama.

Nei primi anni ’50 gli afroamericani degli Stati del Sud erano soggetti a un regime di segregazione. Le persone afroamericane dovevano sedersi in fondo sull’autobus e, se il mezzo era pieno, erano costrette a cedere il posto ai passeggeri bianchi. Rifiutarsi portava all’arresto. Non potevano frequentare alcuni parchi, potevano frequentare solo bagni indicati per i neri, e questo valeva anche per le fontanelle, gli alberghi, le scuole, le tavole calde. I ristoranti prevedevano tavoli separati, spesso scomodi e isolati per le persone afroamericane. I matrimoni fra neri e bianchi erano proibiti.

Poi c’era la questione del voto. Dopo la Guerra Civile, negli Stati Uniti era stato ratificato il XV Emendamento, che mirava a proteggere il diritto di voto dei neri. Esso proibiva agli Stati di negare il diritto di voto in base a “razza, colore o precedente condizione di servitù”, ma negli Stati del sud si diffusero numerose pratiche discriminatorie per impedire agli afroamericani di votare, da intimidazioni e violenze dei gruppi estremisti bianchi a test di alfabetizzazione molto difficili e pensati apposta per allontanare i malcapitati dalle liste elettorali; il risultato fu che, in Stati con una grande concentrazione di afroamericani, pochissimi arrivavano al voto.

Si trattava di una situazione di discriminazione non più tollerabile in un Paese che si definiva libero e democratico, in cui era scritto nella costituzione che ogni individuo dovesse perseguire la propria felicità.

Quando tornò nel Sud dopo l’università, King era già sensibile al tema della discriminazione. Anni prima aveva letto La disobbedienza civile di Henry David Thoreau e ne restò impressionato. Nell’opera, Thoreau sosteneva di non aver pagato le tasse nel 1846 perché contrario alla guerra in Messico e alla schiavitù degli afroamericani. Non gli importava della legge: se era moralmente ingiusta, bisognava opporsi.

Questa idea divenne il cardine del movimento di Martin Luther King. L’altra influenza fondamentale per la sua crescita da attivista fu Gandhi. Il pensiero di Gandhi convinse King sulla forza della nonviolenza. Si possono vincere battaglie senza armi, quando si ama il proprio avversario e lo si affronta reclamando i propri diritti con coraggio.

Noi aspettiamo da oltre 340 anni di ottenere i nostri diritti sanciti dalla costituzione e donati da Dio. Le nazioni asiatiche e africane si muovono con velocità supersonica verso l’indipendenza politica, mentre noi ancora ci trasciniamo, al passo di un calessino all’antica, per cercare di ottenere una tazza di caffè al banco delle tavole calde. Forse dire “aspettate” è facile per chi non è mai stato ferito dalle frecce aguzze della segregazione. Ma se uno vede plebaglie inferocite linciare lasciate libere di linciare vostra madre, vostro padre, di annegare i vostri fratelli e sorelle a piacimento; se vede poliziotti pieni di odio insultare, prendere a calci e perfino uccidere i vostri fratelli e sorelle neri; se uno vede la stragrande maggioranza dei venti milioni di suoi fratelli neri che soffocano, in una gabbia di povertà a tenuta stagna, nel bel mezzo di una società opulenta; se uno sente che la lingua s’inceppa e le parole escono in un balbettio perché bisogna spiegare alla figlia di sei anni come mai non può andare al parco pubblico di divertimenti che la televisione ha appena finito di pubblicizzare, e si accorge che le vengono le lacrime agli occhi appena sente che la Città dei divertimenti è vietata ai bambini di colore (…) se tutte queste cose accadessero a voi, capireste perché per noi è difficile aspettare.

Tratto dalla lettera dal carcere di Birmingham a otto ministri di culto dell’Alabama

LE RIVOLUZIONI SI FANNO CON L’AMORE

L’anno di svolta per la lotta dei diritti civili fu il 1955.

Sul territorio statunitense esisteva già un’importante associazione di riferimento per le persone afroamericane, la NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), fondata nel 1909. Una delle attiviste della NAACP fu Rosa Parks. Parks venne arrestata nel 1955 a Montgomery perché si rifiutò di cedere il suo posto a un uomo bianco sull’autobus. Quando la cittadinanza nera venne a sapere dell’accaduto, si scatenò un’indignazione tale che fu la miccia delle prime grandi proteste su vasta scala.

In occasione del fatto, nacque il MIA, l’Associazione per il miglioramento di Montgomery e King ne fu eletto presidente. Questa associazione fu in prima linea nel boicottaggio degli autobus come segno di protesta per i maltrattamenti dei neri sugli autobus.

Successivamente, nel 1957, Martin Luther King, insieme a Ralph Abernathy e altri collaboratori, fondò il SCLC (Southern Christian Leadership Conference), un’organizzazione dei diritti civili e ne fu il presidente fino al 1968, anno della sua morte.

Nel contesto dei diritti civili, si sono mossi tanti gruppi con approcci differenti. Non tutti abbracciavano un’idea di risoluzione del conflitto pacifica. L’attivista Malcolm X, ad esempio, aveva un’idea diversa. La sua famiglia era stata perseguitata dal Ku Klux Klan quando egli era bambino, aveva vissuto nella povertà e, nel corso della sua vita, aveva sviluppato l’idea che i neri dovessero fare l’uso della forza, se necessario, per ottenere l’uguaglianza e il rispetto.

Non era il caso di King, pur rispettando il suo collega. Forte degli insegnamenti di Gesù, Thoreau e Gandhi, King optò per una strategia di lotta per i diritti civili priva di alcuna violenza, ma allo stesso tempo rivoluzionaria, perché sfidava apertamente le leggi ingiuste: boicottaggi, sit-in nelle tavole calde dove era proibito per i neri recarsi e cortei non autorizzati.

Potreste chiedere: “Perché optare per l’azione diretta? Perché i sit-in, i cortei e così via? Non è forse meglio percorrere la via del negoziato?”. Avete ragione di invocare la necessità della trattativa; anzi, è proprio questo il fine che si prefigge l’azione diretta. L’azione diretta non violenta cerca di creare una crisi così acuta, di suscitare una tensione così insopportabile, da costringere una comunità, che si è sempre rifiutata di trattare, ad affrontare la situazione. L’azione diretta non violenta cerca di accentuare gli aspetti drammatici del problema in modo tale che non si possa più ignorarlo.”

Lettera dal carcere di Birmingham

Una persona nera che si reca in una tavola calda per bianchi e chiede di essere servita, sfidando la propria paura, mette in evidenza che c’è un problema nella società: quella persona non dovrebbe stare lì secondo delle leggi senza senso e soprattutto di una mentalità razzista. Finché una persona nera accetta di stare lontana da quel luogo, tutti pensano che ci sia tranquillità e che quell’ordine delle cose sia normale e accettabile. Ma in realtà, quel divieto nasconde una mentalità crudele. Una volta che il divieto è infranto, le persone razziste mostrano la loro vera natura: ingiurie, botte, fino a un arresto brutale. La reazione violenta nei suoi confronti mette a nudo il problema della discriminazione. Se più persone nere iniziano a presentarsi alle tavole calde tutti i giorni incessantemente, questa ingiustizia inizia a essere difficile da ignorare.

La violenza è il problema. Ed è per questo che la non-violenza vince sul più forte. L’attivista non violento mantiene la calma e la dignità, accettando le conseguenze, mentre i suoi avversari perdono totalmente le staffe e successivamente devono seriamente mettersi in discussione davanti all’opinione pubblica. King riteneva che l’odio fosse un’arma pericolosa e incapace di risolvere veramente i conflitti. L’odio genera altro odio, porta a una spirale di omicidi e avvelena gli oppressi con la stessa sostanza che domina gli oppressori.

Molti non capirono l’efficacia della nonviolenza sin dai tempi di Gandhi in India. L’obiezione principale la dipingeva come un mezzo per persone deboli, in cui ci si mette in pericolo, si perpetua la condizione di sottomissione e non si restituisce il colpo ricevuto. In realtà, la differenza sta nello spirito con cui si adotta il metodo. L’attivista nonviolento si espone volontariamente all’ingiustizia, ma, quando l’oppressore gli chiede di mettersi in riga e di fare quello che la legge gli impone, questi dice no. Accetta le conseguenze del suo comportamento, ma non vuole dare alcuna soddisfazione a chi lo vuole piegare. La sua determinazione è incrollabile e, quando una grandissima maggioranza di persone dicono no all’ingiustizia, arriva un messaggio che deve essere discusso all’interno della società.

L’obiettivo degli attivisti del SCLC era di far arrestare così tante persone che tutto il sistema poliziesco e carcerario andasse in tilt e si dovesse seriamente prendere in considerazione le richieste dei manifestanti.

LE PRINCIPALI CAMPAGNE E LE VITTORIE OTTENUTE

  • 1 dicembre 1955: la polizia arresta Rosa Parks a Montgomery, comincia il boicottaggio degli autobus. Il 13 novembre la Corte Suprema dichiara incostituzionale il regime segregazionista per quanto riguarda gli autobus e il 21 dicembre 1956, un anno dopo l’inizio della campagna, gli attivisti interrompono il boicottaggio. King è uno dei primi passeggeri a salire sugli autobus non più sottoposti a regime segregazionista.
  • Marcia a Washington: l’obiettivo della marcia era ottenere risonanza per la nuova legge sui diritti civili annunciata da J.F. Kennedy nel 1963. Il 28 agosto 1963, 250.000 persone si radunarono al Lincoln Memorial e Martin Luther King pronuncio il suo celebre discorso I have a dream davanti a un pubblico mondiale.
  • La marcia da Selma a Montgomery: nasce nel 1965 per il diritto di voto degli afroamericani. Il primo tentativo pacifico della marcia, il 7 marzo, si concluse in tragedia in quanto la polizia attaccò con manganelli e gas lacrimogeni i 600 attivisti. Fu invece un grande evento la marcia partita il 21 marzo e conclusasi il 25 marzo a Montgomery con 25000 partecipanti. La campagna di Selma portò a una legge sul diritto di voto.
  • La campagna di Chicago: nel 1966 King dà il via alla campagna per sensibilizzare sulle condizioni dei ghetti nel Nord degli Stati Uniti. L’obiettivo è stimolare una riforma a favore di alloggi adeguati. Per capire i bisogni di quella fascia di popolazione, King si trasferì con moglie e figli a Lawndale, un quartiere degradato di Chicago. Il SCLC promosse eque assunzioni per gli afroamericani nelle ditte locali, oltre alla crescita delle imprese dei neri.

Nel corso delle lotte per i diritti civili molti furono uccisi, tra i più noti, Malcolm X e Medgar Evers, esponente della NAACP, ma anche semplici cittadini che si recavano alle manifestazioni.

Martin Luther King fu soggetto a continue minacce di morte, telefonate inquietanti nel cuore della notte, diversi attacchi dinamitardi, anche nella casa dove viveva con sua moglie e i figli.

Il pastore sapeva di avere le ore contate, ma la sua morte non ha fermato la potenza del suo messaggio. Le azioni nonviolente di migliaia di afroamericani avevano fatto la storia e non si tornava indietro.

Si tratta della potenza di una visione che vive oltre le donne e gli uomini che l’hanno creata e giunge fino ai giorni nostri. King era un pastore e conosceva il potere delle parole nel creare visioni condivise, lo aveva imparato dagli insegnamenti di Gesù nella Bibbia. Il suo messaggio d’amore parte da Gesù, che King considerava un grande rivoluzionario.

Io non dimentico che alcuni fra voi sono venuti qui dopo grandi prove e tribolazioni. Alcuni di voi hanno lasciato da poco anguste celle di prigione. Alcuni di voi sono venuti da zone dove ricercando la libertà sono stati colpiti dalle tempeste della persecuzione e travolti dai venti della brutalità poliziesca. Siete i reduci della sofferenza creativa. Continuate il vostro lavoro, nella fede che la sofferenza immeritata ha per frutto la redenzione.

Tornate nel Mississippi, tornate nell’Alabama, tornate nella Carolina del Sud, tornate in Georgia, tornate in Louisiana, tornate alle baraccopoli e ai ghetti delle nostre città del Nord, sapendo che che in qualche modo questa situazione può cambiare e cambierà. Non indugiamo nella valle della disperazione. Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficoltà di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno. È un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.

Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé: che tutti gli uomini sono creati uguali.

“I have a dream”, discorso a Washington, 1963

COSA RESTA DI MARTIN LUTHER KING

La storia di Martin Luther King e dei suoi collaboratori è una storia di coraggio. Si tratta dello stesso coraggio delle donne iraniane che si tolgono il velo per dichiarare la loro libertà di scelta. A volte un gesto vale più di mille parole e può essere fatale. Dentro un gesto si esprime la potenza del messaggio: “Ora basta. La mia volontà ha un valore. Mi prendo il rispetto che merito.”

Le persone attive nel movimento hanno rischiato la vita per prendersi ciò che gli spettava e hanno tenuto duro perché erano in tanti e si aiutavano a vicenda. Nessuno, lo sapeva anche King, ce l’avrebbe fatta in solitudine.

Queste persone hanno preso botte, minacce, hanno visto il carcere dimostrando che la vera forza non è nei muscoli e nella voce grossa. Il filosofo Epitteto diceva: “Non c’è da aver paura della povertà né dell’esilio, né del carcere, né della morte. Si deve aver paura della propria paura.”

Gli attivisti della non violenza ci dimostrano che l’animo libero dall’offesa è veramente libero e non può essere dominato da nessuno.

La forza dei legami ha permesso a molte campagne di essere vincenti. La campagna degli autobus andò avanti per ben un anno. La cooperazione in quell’operazione fu incredibile. Venne organizzato un sistema di trasporto alternativo in cui tassisti prendevano una tariffa inferiore e cittadini volontari davano passaggi a sconosciuti. Il governo locale ha fatto di tutto per smantellare questo sistema alternativo, ma gli attivisti continuarono ad adattarsi per mantenerlo in piedi. La cooperazione e l’adattabilità sono caratteristiche umane straordinarie, che tutti abbiamo dentro. Fioriscono nei momenti di difficoltà ed è per questo che dobbiamo coltivare la speranza per la nostra specie.

Una delle strategie più interessanti della nonviolenza per i diritti civili è il boicottaggio economico, che mira al riconoscimento del potere della parte lesa. L’esempio più noto è ancora il boicottaggio degli autobus. Migliaia di afroamericani si rifiutarono di prendere gli autobus e questo portò a un danno economico nel settore dei trasporti. Quella fetta di popolazione trattata come passeggeri di serie b, in realtà un valore lo aveva, e quando si è levata dall’equazione, ciò divenne chiaro a tutti, dal governo al settore dei trasporti. “Se rispetti il mio denaro, devi rispettare anche la mia persona”, era il principio di queste azioni.

Ad oggi abbiamo imparato che con il denaro si vota e si indirizzano le scelte delle grandi compagnie. Questo è diventato estremamente attuale per le questioni ambientali e anche sociali. Possiamo boicottare aziende che non rispettano l’ambiente o maltrattano i loro lavoratori. Possiamo finanziare negozi locali e sostenibili. Le aziende capiscono dove va l’interesse dei consumatori e devono agire di conseguenza.

Il cammino di Martin Luther King Jr. fu costellato da grandi vittorie collettive, ma anche delusioni. Non era d’accordo con la violenza attuata da persone della sua etnia, ma capiva quanto dolore avesse creato una condizione di miseria e di disperazione. Ottenuti grandi risultati nel Sud, si rese conto che la situazione restava drammatica.

Parità di diritti non significava ancora parità economica. Nelle città del Nord, come Chicago, i neri stavano isolati nei quartieri peggiori e continuavano ad avere i lavori peggiori. Ancora oggi, la problematica razziale non è ancora risolta e brucia all’interno del Paese. King, dal canto suo, cercò di affrontare i problemi economici, portando avanti una campagna contro la povertà, volta a spingere il governo a prendersi cura di neri e bianchi indigenti.

Infine, King era contrario alla guerra in Vietnam. La sua presa di posizione non fu compresa appieno da altri movimenti per i diritti degli afroamericani, come la NAACP, ma si inserisce perfettamente nel pensiero di pace universale del pastore.

Ingiustizia razziale in tutto il mondo. Povertà. Guerra. Quando l’uomo avrà risolto questi tre grandi problemi avrà ottenuto un progresso morale pari alle conquiste del progresso scientifico. E, cosa ancor più importante, avrà imparato l’arte e la pratica di vivere nell’armonia.

Conferenza all’Università di Oslo a seguito del conferimento del Premio Nobel per la pace nel 1964

Di Martin Luther King ci teniamo stretta l’idea che è necessario “passare da una società delle cose a una società delle persone”, come aveva detto lui, e garantire pari accesso alla felicità a tutte e tutti. Egli credeva che la trasformazione fosse possibile e che, finché l’amor proprio e l’amore per l’umanità avrebbero trovato posto nei cuori delle persone, ci sarebbe sempre stata una speranza.

Oggi, mentre affrontiamo nuove sfide di discriminazione, povertà e conflitti, l’eredità di King ci ricorda che ogni gesto di coraggio e gentilezza può alimentare il cambiamento. Accogliamo il suo invito a non smettere mai di credere nella possibilità di un domani migliore. Perché, come ci ha insegnato, anche quando non vediamo il frutto immediato delle nostre azioni, è sempre un bene provare, costruire e continuare a sognare.

Alcuni di noi cercano di costruire un tempio di pace. Facciamo dichiarazioni contro la guerra, protestiamo, ma è come se con la testa volessimo abbattere un muro di cemento. Sembra che non serva a niente. E molto spesso, mentre si cerca di costruire nel tempio della pace si rimane soli; si resta scoraggiati; si resta smarriti. Ebbene, così è la vita. E quel che mi rende felice è che attraverso la prospettiva del tempo riesco a sentire una voce che grida: “Forse non sarà per oggi, forse non sarà per domani, ma è bene che sia nel tuo cuore. È bene che tu ci provi”. Magari non riuscirai a vederlo. Il sogno può anche non realizzarsi, ma è comunque un bene che tu abbia un desiderio da realizzare. È un bene che sia nel tuo cuore.

Discorso del 3 marzo 1968

Martin Luther King Jr. mentre tiene in mano la medaglia del Premio Nobel per la Pace nel 1964

BIBLIOGRAFIA

Martin Luther King (a cura di Clayborne Carson), I have a dream. L’autobiografia del profeta dell’uguaglianza, Mondadori

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Pubblicato da Marianne Romani

Genovese, ma dal cuore metà danese e metà italiano. Fin da bambina, le narrazioni sono state la mia passione. Nel 2021 ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie, “Sul ciglio di un desiderio”. Oltre alla scrittura, mi dedico alla sostenibilità, impegnandomi a diffondere una cultura di gentilezza e rispetto verso la natura.