A colui che dà, la vita offre la sua pienezza; a colui che prende, porge solo una mano vuota.
Lao Tzu da La saggezza del Tao di Wayne Dyer
Gli esseri umani sono…complicati. Viviamo in un mondo in cui ci si insulta facilmente su internet e le persone in televisione si parlano addosso. Personalmente, non capisco come finiamo nel cadere in questa trappola.
Per fortuna, c’è anche l’altro lato della medaglia. La gentilezza è un bisogno fondamentale, la chiave della nostra umanità. Si può allenare e ci può arricchire. Nell’ambito della psicologia della salute, Mario Bertini scrive che siamo cresciuti con l’idea che la tendenza alla sopraffazione derivi dal nostro retaggio animale, mentre l’altruismo sarebbe una questione più evoluta. Se ci pensiamo, spesso definiamo i comportamenti violenti come bestiali. In realtà, le nostre basi genetiche danno spazio a una molteplicità di comportamenti. Sicuramente la natura selvaggia è teatro di comportamenti crudeli, ma anche di cooperazione, ed entrambi sono nella nostra natura.
Prima di immergerci nel tema della gentilezza, facciamo un passo indietro. In quale mondo viviamo?
INDIVIDUALITÀ E COMUNITÀ
In Imparare l’ottimismo, lo psicologo Martin Seligman si riferisce a uno studio che ha messo a confronto diverse generazioni, rivelando che la depressione è aumentata nei paesi industrializzati a partire dalla seconda guerra mondiale. A tal riguardo, Seligman ritiene che le cause siano due: l’affermazione del sé e il declino del senso di comunità.
Nel mondo consumista, l’individuo conosce una libertà senza precedenti, aspetto molto promettente rispetto ai destini segnati dei nostri antenati. Abbiamo opzioni infinite. Ad esempio, possiamo scegliere centinaia di marche per lo stesso oggetto e decidere tantissimi percorsi professionali. Allo stesso tempo, c’è l’aspettativa di dover fare sempre la scelta migliore.
In un mondo così complesso e competitivo, si presentano continuamente nella vita occasioni di fallimento. Il fallimento in una società individualista ricade unicamente sull’individuo. Dato che il singolo è definito dalle sue scelte, le persone si sentono responsabili del loro fallimento, sole e impotenti.
E qui veniamo al secondo fattore: non c’è una rete di persone abbastanza forte che sostenga l’individuo nel fallimento. Non ci sono più tanti gruppi a cui appartenere, e anche le famiglie sono meno numerose di un tempo. Al contrario, le comunità tradizionali si fondavano, e si fondano tutt’ora in alcune culture, sulla mutua solidarietà.
A scanso di equivoci, non ritengo che la soluzione al disagio contemporaneo sia tornare a zappare la terra a vita e partorire dieci figli. Oggi abbiamo una grande opportunità, ma forse non ancora la consapevolezza per esercitarla bene, così ci lasciamo travolgere dalla forza della manipolazione del consumismo.
La solidarietà è ormai un valore radicato in alcune persone e meno in altre, ma in generale richiede uno sforzo. Seligman ritiene che la depressione si possa prevenire attraverso l’esercizio della condivisione, ovvero riservando parte del tempo e del denaro a beneficio del prossimo o della collettività.
Dunque, come si concilia la centratura sul sé con la collettività? Lo psicologo Viktor Frankl ci viene in aiuto. In Sul senso della vita, Frankl afferma che la “singolarità può avere valore solo se non si limita a essere per sé stessa, ma se è per la comunità umana”. Ogni persona è irripetibile e nasce con una missione che esiste per essere trovata, ma questa missione individuale si inserisce nel contesto ampio in cui l’individuo si muove. Dare un senso alle cose è importante perché dà sostanza alla nostra esistenza, segna il nostro posto nel mondo. L’individuo ha la possibilità di contribuire all’umanità, di mettersi al servizio degli altri a modo suo, in quanto essere unico.
potremmo ricorrere a una massima che quasi duemila anni fa Hillel, uno dei padri del Talmud, ha reso emblematica. Questa massima recita: «Se non lo faccio io, chi lo farà? Ma se lo faccio solo per me stesso, cosa sono io? E se non lo faccio ora, quando lo farò?»
Viktor Frankl, Sul senso della vita, p.26
Di fronte alle parole di Seligman e di Frankl, dunque, pare che la gentilezza possa davvero contribuire sia alla società che all’individuo. Relazionarsi non è semplice. Si tratta di un universo con all’interno i mondi delle persone, differenti tra loro, in sintonia oppure dissonanti.
Quali sono gli ingredienti da tenere a mente nell’altruismo?
LA PAROLA ALL’ ALTRO
Esiste un manuale degli anni ’30 su come piacere alla gente che ancora oggi è un bestseller, Come trattare gli altri e farseli amici. L’autore, Dale Carnegie, ha creato una vera e propria guida sui rapporti umani. Comporre un manuale simile da usare per avere successo nella carriera professionale è un’idea molto capitalista americana e può far storcere il naso, ma vorrei partire da Carnegie perché le sue osservazioni sono interessanti.
Il punto fondamentale del libro è: se si vuole piacere alle persone, occorre metterle al centro. Bisogna interessarsi genuinamente a loro.
Qual è l’essere più amato dalla nostra specie? Il cane, che sta alla porta ad aspettare e fa le feste, felice come una Pasqua, anche se il suo compagno umano non ha fatto ancora niente per lui. Quali sono le persone più amate? Quelle che sanno ascoltare con attenzione.
Ed ecco il paradosso. Se si desidera egoisticamente di piacere, occorre smettere di essere egoisti e diventare altruisti. Nel momento in cui si molla la presa dall’egoismo, il desiderio di piacere diventa realtà, trasformandosi in reciprocità nella relazione. L’altro è un pianeta inesplorato che può allargare i nostri orizzonti. Ci può raccontare le sue avventure più folli o essere appassionato di qualcosa che non conoscevamo prima.
C’è chi coltiva la gentilezza nel volontariato, aiutando persone in difficoltà. Anche in questo caso, è richiesta la capacità di riconoscere la persona come unica e dotata di dignità, ascoltarla e garantirle un senso di empowerment. Il termine empowerment si riferisce alla capacità di prendere in mano la propria vita, avere un impatto e scegliere ciò che è bene per sé stessi. Anche Papa Francesco ha rimarcato il fatto che assistere le persone abbia il fine di “aiutarle a essere maggiormente sé stesse.”
Come Carnegie ci insegna, è importante scoprire i punti di vista, i bisogni e i principi che guidano i nostri interlocutori, e ciò è possibile grazie a una sincera curiosità. La nostra idea di bene non è necessariamente il bene di cui gli altri hanno bisogno, per questo motivo l’ascolto in tutte le relazioni è fondamentale.
LA PRATICA DELLA GENTILEZZA
L’attenzione per il prossimo è presente in diverse correnti spirituali, dal cristianesimo alle filosofie asiatiche.
Nel buddhismo, uno dei concetti centrali è la compassione, ovvero desiderare che ogni essere senziente sia libero dalla sofferenza. Secondo questo pensiero, la persona che fa del male al prossimo, in realtà, sta soffrendo profondamente e diffonde il suo malessere attraverso le sue azioni. All’opposto, se sentiamo che l’altro è collegato a noi nella grande trama dell’universo, siamo spinti ad amarlo e a volerlo aiutare, e ciò sarà fonte di tranquillità e armonia.
Le persone davvero altruiste, sorridenti, positive rimangono fortemente impresse nella nostra memoria. Se suscitano in noi un così grande senso di gratitudine e ammirazione, non sarebbe fantastico diventare noi stessi quella persona per qualcun altro?
La cosa bella è che, per migliorare la giornata alle persone, basta poco. Si possono compiere gesti più o meno impegnativi, in base a quanto ci sentiamo di fare.
Ecco alcune piccole azioni di gentilezza:
- Sorridere
- Cedere il posto sull’autobus
- Dare un’informazione
- Regalare qualcosa che ci ricorda quella persona
- Offrire un fazzoletto
- Dire grazie guardando negli occhi
- Fare un complimento sentito su un comportamento della persona o su un dettaglio del suo vestiario che ci piace
- Stare semplicemente in compagnia, ascoltando attentamente
- Prestare un libro
- Fare una giornata di volontariato alla settimana o al mese
- Fare una donazione per una causa che ci sta a cuore
Nella teoria, appare tutto meraviglioso. Eppure, sono sicura che alcuni farebbero almeno una delle seguenti obiezioni:
- essere gentili significa essere passivi, lasciando ai malintenzionati il potere di approfittarsi di noi
- porsi al servizio degli altri può essere logorante
Affrontiamo il primo punto, facendoci aiutare dal buddhismo.
Premettendo che i monaci buddhisti non ritengono semplice desiderare costantemente il bene del prossimo, in quanto pratica integrata all’interno di un percorso spirituale, amare gli altri non significa affatto subire qualunque cosa. Cito le parole di Thich Nhat Hanh, monaco buddhista vientnatmita:
Essere gentili non significa essere passivi. Essere comprensivi non significa permettere agli altri di calpestarci, lasciarci distruggere.
Thich Nhat Hanh, Spegni il fuoco della rabbia, p.94
Il buddhismo incoraggia a difendersi e a impedire che una persona compia atti pericolosi per sè e per gli altri, ma al tempo stesso evita il giudizio. Questa filosofia dà enfasi non sulla persona, bensì sulle sue azioni. Non esistono persone malvagie, esistono comportamenti malvagi. Non bisogna combattere le persone, ma l’odio e l’ignoranza, e come? Con l’amore e con la comprensione. Per i saggi orientali, la gentilezza non rende vulnerabili, anzi, è una manifestazione di grande forza interiore.
Un altro interessante spunto di riflessione arriva dalla spiritualità cinese. Wayne Dyer, in La saggezza del Tao, delinea la figura del saggio secondo il Tao Te Ching di Lao Tzu. Il saggio è persona umile e vive prendendo l’acqua come esempio. L’acqua scorre morbidamente e può insinuarsi dappertutto. Il saggio si insinua nei cuori delle persone, anche le più dure, attraverso le loro aperture e le nutre. L’acqua può apparire più debole di una roccia, ma, con pazienza, essa è in grado di erodere qualsiasi altro elemento, rivelandosi superiore. L’acqua è un elemento dolce e forte al tempo stesso, impalpabile e inscalfibile.
Non occorre diventare santi, né domani né mai, ma riconoscere che le persone hanno il diritto di essere felici è già un’utile consapevolezza.
Ora veniamo alla seconda obiezione nei confronti dell’altruismo: bisogna aiutare l’altro a discapito di sé stessi e della propria salute mentale?
PRENDERSI CURA DI SÈ
Se vogliamo portare la gentilezza nella nostra vita, dobbiamo in primo luogo riservare la gentilezza a noi stessi. Prendersi cura di sé crea spazio per donare agli altri. Se questo spazio non c’è, aiutare gli altri potrebbe essere vissuto come un peso.
Ciascuno di noi può trovare il suo modo per trovare serenità, anche solo dandosi un abbraccio ogni tanto. In un mondo di violenza verbale in determinati ambienti, possono venirci in aiuto spazi sicuri e accoglienti dove ricaricarci oppure possiamo creare occasioni in cui godere delle cose belle che ci accadono.
Secondo Thich Nhat Hanh, quando entriamo in conflitto con qualcuno, la prima cosa da fare è prendersi cura delle proprie emozioni, e solo dopo passare ad ascoltare le ragioni della persona con cui abbiamo avuto il conflitto.
L’amore per se stessi è il fondamento per poter amare l’altro. Se tu non ti prendi cura di te stesso, se non sei felice, se non sei in pace, non puoi rendere felice l’altro
Thich Nhat Hanh, ivi, p.31.
Di fronte alle emozioni che creano sofferenza, come la rabbia, il monaco consiglia di utilizzare questa immagine:
Devi essere come una mamma che sente piangere il suo bimbo piccolo. […] lei è piena di calore, di partecipazione e di tenerezza. Per prima cosa prende in braccio il piccolo e lo culla; con quell’abbraccio, la sua energia penetra nel bambino e gli dà sollievo. Devi imparare a fare esattamente così, quando la rabbia comincia a venire a galla. Smetti di fare qualunque cosa tu stia facendo: il compito più importante è tornare a te stesso e prenderti cura del tuo bambino, della tua rabbia.
Thich Nhat Hanh, ivi, p. 25
Si tratta di un gesto di consapevolezza e auto-ascolto. La meditazione è uno degli strumenti più efficaci per generare calma, anche semplicemente concentrandosi sul respiro in una posizione con la schiena dritta. Se, invece, stiamo in una condizione di forte malessere personale, potrebbe essere il caso di valutare un percorso psicologico: non esistono rimedi facili per sofferenze molto profonde ed è meglio affidarsi alle competenze di un professionista.
A volte siamo proprio noi a dover ricevere aiuto. Ci sono periodi in cui siamo maggiormente in grado di aiutare e altri in cui abbiamo bisogno di essere aiutati, e non c’è nulla di male.
In conclusione, la cura di sé stessi si intreccia alla possibilità di aiutare il prossimo, sono due movimenti che si arricchiscono a vicenda. La gentilezza non è solo un atto, ma un modo di vedere il mondo, avendo cura e rispetto di ogni cosa, noi compresi. Darsi agli altri, con la consapevolezza del proprio stato d’animo e senza aspettarsi nulla in cambio, porta inaspettatamente a ricevere tanti doni dalla vita. Così come noi vogliamo essere amati e siamo grati quando qualcuno fa qualcosa per noi, possiamo offrire la stessa cosa a chi abbiamo davanti. Tutte le persone, per quanto a volte incomprensibili, in fondo desiderano solo essere felici.
Anche
dopo
tutto questo tempo
il sole non dice mai alla terra:
mi sei debitrice.
Guardate
ciò che accade
con un amore così grande,
s’illumina
tutto
il cielo.
Hafez, testo tratto da La saggezza del Tao di Wayne Dyer
BIBLIOGRAFIA:
- Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, Bompiani
- Martin E. P. Seligman, Imparare l’ottimismo, Giunti Editore
- Mario Bertini, Psicologia della salute, Raffaello Cortina Editore
- Papa Francesco, Fratelli tutti. Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale
- Thich Nhat Hanh, Spegni il fuoco della rabbia, Mondadori
- Viktor E. Frankl, Sul senso della vita, Mondadori
- Wayne W. Dyer, La saggezza del Tao, Corbaccio
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