
Avete mai dato un’occhiata alle etichette dei vestiti? La maggior parte delle volte troverete un nome ripetersi ancora e ancora: poliestere.
Il poliestere è una fibra tessile in crescita nel mercato dell’abbigliamento. È economica da produrre e, per questo motivo, domina l’offerta dei marchi di fast fashion. D’estate compone i vestitini attillati e d’inverno i maglioni, rappresentando la scelta più facile per assecondare i trend del momento.
Tuttavia, la sua sovrabbondanza è un grande problema per l’ambiente. Infatti, il poliestere è un materiale derivato dal petrolio, è una fibra di plastica che impiega centinaia di anni per degradarsi nell’ambiente.
CHE COSA SONO LE FIBRE SINTETICHE COME IL POLIESTERE
Le fibre sintetiche spadroneggiano da anni nel mercato della produzione tessile. Sono chiamate sintetiche in quanto prodotte attraverso sintesi chimica usando derivati del petrolio. Le fibre sintetiche più comuni sono nylon, polipropilene e, soprattutto, il nostro poliestere.
Il poliestere nasce negli anni ’40 del secolo scorso, ma è solo dagli anni ’70 che inizia a imporsi nell’abbigliamento, perché è economico, leggero e il tessuto resiste alle pieghe. La sua composizione lo accomuna alle bottiglie di plastica, essendo entrambi della famiglia del PET (Polietilene tereftalato). Il poliestere, per quanto abbia un bell’aspetto brillante e morbido negli enormi negozi della fast fashion, con il tempo perde quell’aspetto e si rovina. Per la sua composizione di plastica, non fa traspirare la pelle nuda, contribuendo a creare un ambiente umido dove batteri possono prosperare. Inoltre, può causare irritazioni sulle pelli sensibili.
Le fibre sintetiche sono un problema di per sé, ma sicuramente la questione più preoccupante è la loro quantità in circolo nel mondo. Il numero dei capi in poliestere è aumentato in modo massiccio negli anni: secondo gli ultimi dati, su tutta la produzione di fibre, il 57% è poliestere. 57% sui circa 100 miliardi di vestiti prodotti ogni anno nel mondo.
Nel grafico qui sotto si può vedere la crescita fuori controllo del poliestere (in rosa) nei nostri capi.

Essendo plastica, lo smaltimento del poliestere è problematico. Al momento il riciclo di questo materiale non è così sviluppato. Esistono capi in poliestere riciclato, ma le fibre sono ricavate dalle bottiglie di plastica e non da vecchio poliestere. Il Materials Market Report 2024 scrive che solo l’1% delle fibre in poliestere viene effettivamente riciclato.
Tutte le tonnellate di poliestere prodotto finiscono in discarica e ci restano per centinaia di anni prima di scomparire, degradandosi in minuscoli pezzettini. I vecchi capi di poliestere degli anni ’70 esistono ancora a marcire da qualche parte. Immaginatevi cosa succede quando la discarica non è regolamentata in qualche paese lontano, pensiamo all’inquinamento che producono i vestiti abbandonati lì.
La maggior parte delle fibre però trova una via maestra per inquinare, molto insidiosa.
LE MICROPLASTICHE DEL POLIESTERE
Ogni volta che facciamo la lavatrice, migliaia di fibre sintetiche finiscono in mare trasformandolo in una zuppa di plastica.
Si stima che circa un terzo delle microplastiche degli oceani provenga dalle nostre lavatrici. In un solo anno, lavare tessuti sintetici trasporta nelle acque più di 500 mila tonnellate di microplastiche.
Ci sono due modi in cui le microplastiche dei tessuti sintetici arrivano a noi. La via più diretta è inalandole con la bocca e il naso: se indossiamo un maglione di poliestere, il colletto è vicino alla bocca e possiamo entrarci a contatto quando lo mettiamo e lo sfiliamo. L’altro è mangiando pesce e altre creature marine, perché questi animali ne hanno inghiottito grandi quantità che si sono accumulate nel loro corpo.
Le microplastiche sono state trovate ovunque nel corpo umano: dalle vene, alla placenta, fino al tessuto cerebrale. I danni dovuti all’ingresso delle microplastiche nel nostro corpo sono oggetto di studi medici e necessitano ancora di ulteriore approfondimento.
Come scrive l’Istituto Superiore di Sanità, le microplastiche potrebbero causare danni all’apparato digerente e a quello respiratorio, compromettendone il funzionamento. Possono diventare veicolo di sostanze pericolose. A riguardo, la Fondazione Veronesi scrive:
Spesso le plastiche (e le microplastiche) contengono una serie di additivi chimici che possono avere un impatto negativo sulla salute: ftalati, bisfenolo A, idrocarburi policiclici aromatici e metalli sono solo alcuni dei contaminanti organici e inorganici che si possono riscontrare nelle microplastiche. Alcuni di questi fanno parte anche dei cosiddetti “interferenti endocrini”, sostanze che possono danneggiare il sistema ormonale, con possibili conseguenze a livello del metabolismo e della salute riproduttiva.
Oltre a veicolare metalli, le microplastiche possono introdurre nel nostro corpo anche microrganismi dannosi, come batteri. Sviluppi recenti citati da Fondazione Veronesi indicano inoltre che frammenti plastici talmente piccoli da essere definiti nanoplastiche sono associati a eventi tipici dello sviluppo dei tumori.

ESISTONO SOLUZIONI?
Ormai le grandi industrie puntano su prodotti a bassissimo prezzo e fatti con materiali inquinanti per l’ambiente. Producono in maniera sconsiderata per aumentare il profitto, puntano sulla pubblicità e dettano i trend per invogliare la clientela, specialmente quella più giovane e inconsapevole, a comprare.
Nel tempo sono nati vari espedienti per raccogliere le microplastiche in lavatrice: da buste a retina per infilare i vestiti di poliestere a filtri da installare. Delle ottime proposte, tuttavia è ingiusto che sia il consumatore a dover acquistare (a prezzi anche poco contenuti) soluzioni per conferire correttamente (nell’indifferenziato) le microfibre. Se una fibra fa così male all’ambiente e pure alla nostra salute, non è accettabile che più della metà della proposta dei grandi negozi la contenga. La vendita andrebbe come minimo ridimensionata.
Cosa può fare comunque il consumatore per invertire questa tendenza? Noi abbiamo un potere economico e, se volete diminuire il poliestere e le microplastiche in mare, ecco cosa potete fare:
- guardare l’etichetta per conoscere le caratteristiche della composizione del vestito che vi interessa in negozio
- puntare su abiti di qualità nuovi o usati di materiali durevoli
- puntare su abiti dalle fibre naturali (cotone, lino, canapa, lana, seta)
- difficilmente si trovano vestiti composti da un solo materiale, ma cerchiamo la migliore percentuale di fibre naturali
- nel caso di acquisto di abiti sintetici, curare bene il capo stando attenti alle temperature del lavaggio e alla stiratura (per evitare di rovinarlo, e quindi allungandogli la vita)
CONCLUSIONE
La moda ha un enorme impatto sull’ambiente, persino una maglietta in cotone biologico inquina quando viene realizzata. La sovrapproduzione rispetto alle reali necessità delle persone è un grande problema, tanto che ogni anno abbiamo tonnellate di abiti invenduti, pertanto sarebbe meglio sottrarsi alle logiche commerciali e puntare sull’usato quando possibile.
Talvolta i brand pensano di potersi ripulire l’immagine di inquinatori proponendo abiti in poliestere generato da bottiglie di plastica, ma ricordiamoci che quella plastica finirà in mare nelle forme più invisibili e poi non verrà più riciclata; marcirà in qualche discarica anche dopo la nostra morte. Non facciamoci incantare dai saldi e chiediamo integrità ai brand di abbigliamento nella scelta di ciò che ci propongono, per la nostra salute e per quella del pianeta.
SITOGRAFIA
Is Polyester Really *That* Bad?
Microplastiche nei tessuti sintetici, quante ne indossiamo?
Your Laundry Sheds Harmful Microfibers. Here’s What You Can Do About It.
Istituto superiore di sanità – Microplastiche
Fondazione Veronesi – Inquinamento da plastiche e microplastiche
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