Nella società contemporanea vince chi fa sempre cose, vince chi va veloce. Ci sentiamo in obbligo di “fare” anche nel tempo libero oppure cerchiamo l’intrattenimento dai miliardi di stimoli che i media producono per noi. A volte fare a tutti i costi causa stress, mentre la ricerca costante dello stimolo nuovo ha portato a un declino della soglia d’attenzione e alla paura del vuoto. Quel vuoto, però, nasconde anche un’occasione di serenità.
Probabilmente in opposizione a questa tendenza, negli ultimi anni sempre più persone hanno trovato rifugio nella meditazione. La meditazione, infatti, permette di esplorare il vuoto e di raggiungere uno stato mentale interessante…la presenza mentale.
La presenza mentale viene spesso associata all’infanzia, in quanto i bambini giocano senza tanti pensieri. In età adulta, questo stato si colora di nuove sfumature e consapevolezze, anche se l’essenza resta la stessa.
Come possiamo dunque definire la presenza mentale?
Si tratta di uno stato in cui
- viviamo nel presente e non ci facciamo coinvolgere dalle preoccupazioni del futuro e dai sensi di colpa del passato.
- siamo in contatto con i nostri bisogni, le sensazioni, le emozioni, i nostri pensieri, pertanto sentiamo di avere un maggiore controllo su di noi e sull’ambiente.
- Quando ci relazioniamo con una persona, con un animale, con l’ambiente, dedichiamo tutta la nostra attenzione. Questo ci permette di sperimentare una maggiore intimità e profondità nel rapporto.
Non è necessario stare costantemente nella presenza mentale, ma, più volte riusciamo a tornarci, più sentiremo dei benefici.
COME PRATICARE LA MEDITAZIONE
La presenza mentale può essere allenata in primo luogo tramite la meditazione. Di meditazioni ne esistono tante: seduta, camminata, da sdraiati, con mantra…ma in realtà meditare non è una pratica così complicata o riservata a pochi eletti. Infatti, servono pochi elementi per farla bene: schiena dritta e respiro.
Un esempio classico di meditazione è stare in posizione seduta, a gambe incrociate o su una sedia con i piedi a contatto con il pavimento, mantenendo la schiena dritta e rilassata. Con gli occhi chiusi, ci si concentra sull’aria che entra ed esce dal naso. Si possono contare i respiri oppure no. Per restare più concentrati, si può rivolgere l’attenzione sulla sensazione dell’aria che sfiora le narici. Apparentemente non si sta facendo nulla, ma in realtà si sta facendo tantissimo.
Il più grande ostacolo alla meditazione è che la mente cerca di sfuggire. Alla nostra mente sembrerà noioso dover rivolgere l’attenzione al respiro, essendo spesso sovrastimolata ed abituata ad evitare la noia. Spesso va alla ricerca di pensieri a cui aggrapparsi.
La meditazione non demonizza il pensiero. Una volta che un pensiero si affaccia e cerca di dominare la nostra attenzione, lo si osserva con distacco fino a quando non scompare o lo si saluta dolcemente, e si torna ad osservare il respiro.
Non c’è una durata obbligatoria per meditare, si può andare da pochi minuti ad ore. Dopo aver meditato, potreste sentire di essere più rilassati, freschi e concentrati. C’è chi riesce a vedere i propri problemi da una prospettiva diversa o si sente più aperto alla vita. Tuttavia, come l’allenamento fisico, è una sfida praticare la meditazione in maniera costante ogni giorno.
I benefici a lungo termine, come essere più lucidi nei momenti difficili o più pazienti, arrivano in un secondo momento. Per questo motivo la costanza è importante. Il lavoro interiore richiede tempo, si cambia continuamente ma a poco a poco. Niente di visibile, nessun risultato immediato. Meno aspettative avrete, più riuscirete a raggiungere grandi risultati, come le filosofie orientali ci insegnano.
Abbiamo visto un modo per accedere alla presenza mentale, eppure ci sono altri ingredienti che ci permettono di coltivarla, dunque approfondiamo l’argomento.
LENTEZZA
Tutto ciò di cui avete bisogno vi sarà donato senza fretta. Smettete di chiedere con insistenza e confidate nel perfetto concretizzarsi del Tao. Rimanete in uno stato di attenta gratitudine e sintonizzatevi con la Via.
Lao Tzu
L’ecopsicologa Marcella Danon insegna che, se andiamo veloci, non abbiamo il tempo di digerire quello che ci sta accadendo. Il nostro corpo è sopraffatto così come la mente.
Dobbiamo stare attenti alle aspettative di poter avere tutto e subito: se un pc non si carica abbastanza velocemente, diventiamo nervosi. Corriamo per non perdere l’autobus anche se dopo dieci minuti ne passa un altro. Viviamo nell’angoscia delle scadenze. E quando smettiamo di lavorare, la testa pensa ancora al passato e al futuro, mantiene ritmi furiosi, affollata di giudizi. Spesso, per fare le cose in minor tempo se ne fanno più insieme. Queste logiche procurano stress inutile, ma, se ne diventiamo consapevoli, possiamo intervenire.
Se corriamo e siamo distratti, il nostro tempo viene buttato in una macchina trituratrice. Buttato via, per sempre. E non abbiamo tanto tempo da passare in questa vita.
La buona notizia è che c’è una soluzione per vivere meglio: rallentare.
La lentezza è amica della presenza mentale, e infatti è un’altra porta d’accesso privilegiata. Se si rallenta nelle azioni, anche la testa rallenta e i pensieri hanno minor presa. Potete fare una prova, facendo alcune azioni quotidiane con una marcia inferiore al solito: mentre camminate, lavate i piatti, date acqua alle piante, fate la spesa, preparate da mangiare. Fate queste azioni come se fosse la prima volta e chiedetevi come vi sentite. Un’idea più radicale è provare a farle al rallentatore. Diventa quasi una pratica meditativa.
Qualcuno potrebbe dire di non avere tempo per rallentare, perché gli impegni sono troppi. In giornate molto affollate di impegni, possiamo chiederci a cosa diamo priorità.
- Dobbiamo per forza fare tutto?
- Ci piacciono le attività che dobbiamo fare? Se non ci piacciono ma sono necessarie, sono delegabili, rimandabili o semplificabili?
- Abbiamo creato tempo per fare anche ciò che ci piace davvero? Se le giornate lavorative sono un problema, possiamo ritagliarci uno spazio: il weekend o un giorno o anche due ore.
Se stiamo davvero in quello che accade, è come se il tempo si espandesse.
Non hai bisogno di più tempo, hai già tutto il tempo del mondo. Hai bisogno di più concentrazione.
Kevin Kelly
Qual è dunque il nostro tempo? Indubbiamente è importante dedicare del tempo a ciò che ci piace fare o semplicemente per ricaricarci, ma si può anche fare un passo in più.
Nel libro “Il miracolo della presenza mentale”, il monaco zen Thich Nhat Hanh racconta una conversazione con Allen, padre di famiglia. Allen settorializzava il tempo: c’erano le attività che gli piacevano, ma poi anche le faccende domestiche e il tempo che dedicava ai figli e alla moglie. Secondo quest’ottica, non gli restava molto tempo per sé, ma poi aveva capito che poteva vivere meglio considerando il tempo che dedicava agli altri e alle faccende domestiche come un momento dove rilassarsi e godersi pienamente la situazione. Tutte queste attività “altre” facevano parte del suo tempo, si trattava solo di sentirsene padrone.
Questo cambio di prospettiva ci aiuta a riappropriarci del tempo. Quando qualcosa non ci piace, lo facciamo di malavoglia e il nostro malumore cresce. Peggioriamo la qualità di quel tempo, cerchiamo di sbrigare le faccende velocemente, siamo distratti e quindi non curiamo le relazioni ed è come se quel tempo fosse perso per sempre. Se invece siamo più intenzionali, abbiamo molto più tempo da vivere! Ogni situazione, anche scomoda, diventa parte del percorso. Può insegnarci qualcosa e noi possiamo essere creativi nel plasmarlo.
Secondo Thich Nhat Hanh, la meditazione si può attuare nelle azioni quotidiane: ad esempio, facendo attenzione alle sensazioni corporee mentre ci si spazzola i denti, oppure ritagliandosi qualche minuto a sbucciare un mandarino per mangiarlo con gusto. Ogni atto diventa un rito, pertanto acquisisce un valore nella nostra vita.
SILENZIO E MINIMALISMO
Il silenzio è ciò che prova la mente quando si trova nello stato della presenza mentale. Si tratta di un silenzio benevolo, imperturbabile come le profondità del mare. Dentro la testa, i pensieri se ne stanno in pace e si apre una dimensione di serenità.
Thich Nhat Hanh dice che coltivare il silenzio da soli o con chi amiamo ci permette di sperimentare una grande intimità. Non c’è bisogno di parole per sentirsi legati.
Quando c’è silenzio, si scopre dentro se stessi l’ancora dell’universo.
Lao Tzu
Silenzio significa anche non parlare per il gusto di parlare. Se intorno a noi non c’è silenzio, noi comunque abbiamo la facoltà di non intensificare il rumore che ci circonda. Il buddhismo porta in seno l’idea meravigliosa di selezione. Selezionare ciò che fa bene a noi e non causa sofferenza agli altri, e poi lasciare andare tutto il resto. E questo vale anche per le parole. Sapete quanto è liberatorio stare in silenzio? Possiamo allenarci ad astenerci dai pettegolezzi, dalle critiche, dagli insulti, dal riempire i vuoti con le parole. Il non fare è una scelta. Il non fare, in realtà, è fare, ma in modo diverso rispetto all’azione frenetica e inconsapevole.
Siamo circondati da tanti stimoli: rumori, luci, scritte, oggetti. Molti di questi, la maggior parte, sono inutili e stancanti. A volte li scegliamo, ma spesso li subiamo.
Il concetto di selezione si trova anche nella cultura del minimalismo. Ad oggi, il minimalismo è conosciuto come l’arte di vivere con pochi oggetti e scegliere la semplicità, proprio per evitare quell’intasamento di stimoli di cui parlavamo prima. Meno distrazioni, più presenza mentale.
Si può fare un digiuno degli stessi stimoli sensoriali: media, e-mail, video, conversazioni, soprattutto quelli che ci fanno stare male. A volte è difficile stare nel silenzio, perché usiamo gli stimoli sensoriali per riempire i nostri vuoti, ci ubriachiamo con essi come con l’alcol per dimenticare i nostri sentimenti negativi. Tuttavia, mettere i nostri demoni in un cassetto significa lasciarli crescere nell’ombra. Marcella Danon dice che non è negativo distrarsi ogni tanto con contenuti stupidi, ma è un peccato lasciare che inglobino la maggior parte del nostro tempo libero.
Al posto di abitudini malsane, creiamo spazio per attività che ci fanno stare bene, oltre il consumo usa e getta, il quale ha la durata di soddisfazione di pochi minuti. Possiamo intraprendere nuovi progetti o lasciare spazio alla nostra creatività.
LIMITARE I SOCIAL MEDIA? Una riflessione personale
Perché parlo di abitudini malsane in questo articolo? Tutto ha avuto origine da un’esperienza che mi ha fatto riflettere su quali abitudini stessi poggiando la mia vita. Facevo un uso sbagliato dei social media.
Ho sempre avuto un rapporto di amore e odio con i social.
Sono una millennial. Appartengo alla prima generazione che ha sfruttato internet per socializzare e questo dettaglio influenza il modo in cui mi rapporto con la tecnologia. Ho iniziato a comunicare su internet a quattordici anni, quando mi sono iscritta a un forum di musica giapponese. Mi sembrava di aver scoperto una miniera d’oro. Finalmente potevo parlare con persone con i miei stessi gusti musicali, dato che nella mia cerchia non ne conoscevo affatto. Ho conosciuto degli utenti dal vivo e ho intessuto relazioni durature. Senza internet, ciò non sarebbe stato possibile. L’impatto è stato reale.
Anni dopo sono sbarcata sui social media, in particolare su Instagram, con cui ho avuto un rapporto complicato. Il mio scopo è sempre stato connettermi con chi aveva i miei stessi ideali e interessi e questo, per me, è l’aspetto migliore che può offrire un social network: creare legami veri. Instagram mi è stato utile per conoscere persone e scoprire nuovi eventi.
Tutto bello, giusto? Eppure non sono più sulla piattaforma e una delle ragioni è la salvaguardia della mia presenza mentale.
Ultimamente usavo Instagram per promuovermi come scrittrice e attivista. Avere un profilo era utile per stare al passo con l’attualità a tema ambientale e conoscere altri scrittori, ma nella dimensione relazionale qualcosa si è incrinato. L’algoritmo penalizzava i legami, soffocandoli con tempeste di pubblicità, post suggeriti inutili, profili falsi. Troppi stimoli che mi impedivano di distinguere ciò che era utile e importante. Più usavo Instagram, più la presenza mentale scompariva, ma non solo…si indebolivano anche la mia autostima e il mio senso di controllo.
Oltre alla dimensione relazionale, anche qualcos’altro mi spronava a usare i social media. Mi sembrava di poter esprimere le mie idee a un vasto pubblico. Avevo l’illusione di poter fare la differenza e promuovere i valori in cui credevo, ma ora mi viene il dubbio se fosse un’attività fine a se stessa.
Le piattaforme sono private e gli utenti sono ospiti influenzati da una bolla di contenuti specifici in cui vengono categorizzati. Come si dice, se qualcosa è gratis, sei tu il prodotto. Credo che le piattaforme sfruttino bisogni come sentirsi parte di qualcosa o sentirsi importanti per invischiare le persone. Bene, male? Non saprei. L’importante è rendersene conto.
Su Instagram i contenuti vengono presto dimenticati perché sepolti da altri post e altre stories. Anche le riflessioni interessanti durano quindici secondi, il tempo di un reel o di una storia. Per questa caducità dei contenuti, non me la sono mai sentita di scaricare Tik Tok.
Sentendomi a disagio, ho disattivato il profilo su Instagram, ma dopo dieci giorni sono tornata e lentamente sono ricascata in sentimenti di inadeguatezza e stress. Così ho eliminato tutto. Più social ero, più sola mi sentivo.
Non voglio dire che i social media siano strumenti del demonio, perché le potenzialità ci sono. Per me, le potenzialità ci sono quando i social media portano a un impatto positivo nella vita reale. Quando la vita reale è influenzata negativamente da quella virtuale, c’è qualcosa che non va.
Conosco ancora la morsa alla pancia quando volevo pubblicare qualcosa, ma sapevo che in quell’orario l’algoritmo non l’avrebbe fatto vedere a nessuno. O la tentazione di controllare chi aveva messo mi piace, per poi controllare ancora. E disinstallare l’app. E rinstallarla per iniziare il ciclo da capo. Questa si chiama abitudine malsana, ma riguarda la mia esperienza. Eppure la dipendenza è un rischio concreto.
Ad ogni modo, se usate i social media in maniera vantaggiosa e ne siete soddisfatti, sono felice per voi. Il modo per viverli bene, secondo la mia prospettiva, è fruire dei social come un mezzo e non come il fine ultimo.
Il problema dei social media è che, se non li hai, rischi di sentirti tagliato fuori. C’è una piazza virtuale in cui accadono cose che hanno anche un impatto sul reale e tu non ci sei. In quanto attivista, ciò mi fa sentire marginale, anche se partecipo con attività sul mio territorio e ho amici fantastici. Spero che nasca presto una piattaforma nuova, in cui socialità virtuale, comunicazione gentile e presenza mentale possano convivere.
Viviamo in un’epoca piena di possibilità, spunti culturali, e questa è una vera ricchezza. Ora, la sfida è passare da “quanto abbiamo” a riflettere sul “come lo utilizziamo”.
Le mie linee guida personali sono ormai selezionare e semplificare. Less is more.
BIBLIOGRAFIA
- Kevin Kelly – Consigli eccellenti per vivere, Il Saggiatore
- Marcella Danon – Il potere del riposo, Feltrinelli
- Thich Nhat Hanh – Il miracolo della presenza mentale. Un manuale di meditazione, Ubaldini Editore.
- Thich Nhat Hanh – Il dono del silenzio, Garzanti.
- Wayne Dyer – La saggezza del Tao, Corbaccio.
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